sabato 26 novembre 2011

GLI INTRADUCIBILI (?): CREEPY


Il primo significato è "che striscia (o si muove) lentamente"; ma a noi interessa il suo, diffusissimo, senso figurato, che il Ragazzini traduce con "che fa accapponare la pelle". Deriva dal verbo Creep, insinuarsi, avanzare a poco a poco e furtivamente. A Creep (sostantivo): familiare per "individuo disgustoso" (ma questo si allontana dal significato originale).

Creepy appartiene al linguaggio familiare e potremmo, in modo approssimativo, tradurlo con "da paura". Un tempo a "creepy film" o creepy story era una cosa tipicamente inglese; ora ci sono anche ragazzi e adulti italiani che li apprezzano.

Anche se a volte sono usati come sinonimi, "Creepy" sta a "Horror" come "(British) humour" sta a "comico": in entrambi i casi, il primo elemento è molto più sottile. Se "comico" vuole che tu rida ad alta voce e horror ti dice guarda che paura che ti faccio, humour si accontenta di far sorridere chi capisce, o al limite di sorridere anche da solo; e creepy ti inquieta, ma a volte non sapresti spiegare perché.

domenica 20 novembre 2011

QUEL CHE RESTA

Di tutti i motivi che mi hanno portata a trascurare il blog, il più serio è la mia partecipazione ad un seminario sulla shoah, che si è tenuto a Parigi presso il Mémorial de la Shoah.

Si è parlato di tante cose; gli studiosi della Shoah (che in ebraico significa "catastrofe") o olocausto, almeno in Francia, insistono sulla necessità del rigore storico e di evitare ogni sentimentalismo e banalizzazione dell'argomento.

Ma quello che vorrei condividere con voi è l'intervento più toccante: quello di
HENRI BORLANT, sopravvissuto al Campo di Auschwitz e autore dell'autobiografia Merci d'avoir survécur. Questa frase, che vuol dire "Grazie di essere sopravvissuto", gli fu scritta da un alunno di una delle scuole che visitò per testimoniare la sua esperienza. Trovo che nella sua semplicità dica tutto.

Henri Borlant aveva quindici anni quando era ad Auschwitz. Dei suoi accenni a quell'esperienza mi ha colpita la fame che lo perseguitava - un ragazzo di quell'età, costretto a mangiare pochissimo, non fa che sognare il cibo, e questa privazione non fa neppure notare le altre. Però...quando gli è stato chiesto come avesse fatto a dimenticare, a non suicidarsi dopo, a sopravvivere appunto, lui si è, in qualche modo, contraddetto, dicendo che aveva resistito grazie a due cose: il fatto di aver ritrovato, una volta fuggito, sua madre ancora viva; e la preghiera che lo confortava (preghiera anche proprio per la madre stessa) mentre era ancora prigioniero.

Per il resto quest'uomo ancora bello, elegante e ironico, preferisce parlare del "dopo" piuttosto che di quell'esperienza (ce n'est pas un sujet de conversation de salon, cioè non è argomento salottiero, dice con ironia). Lui vuole parlare di quel che resta di bello: della moglie tedesca ("L'ho sposata perché era carina, mica perché era tedesca!"), dei figli, del suo lavoro di medico, del libro appena scritto.

Oltre ad essere sopravvissuto fisicamente, ha manternuto lo spirito di quel ragazzo.

Di questo, con umiltà e senza l'aborrito sentimentalismo, anch'io vorrei ringraziarlo.