venerdì 18 dicembre 2009

FATHER HOLIDAY...HO HO HO!

Resto di stucco nel vedere su Facebook versione U.S.A. e, in particolare, sul gioco Farmville che al posto di Christmas, per non urtare la suscettibilità di nessuno, si scrive holiday. Così si hanno: happy holiday al posto di "merry Christmas", ma anche: holiday tree (l'abete), holiday door (una porta con sopra il vischio), e così via. Ne parla anche il "Venerdì" di Repubblica a proposito degli auguri di Obama, traducendo, elegantemente, "Buone Feste" (che in italiano è ineccepibile; ecco un caso in cui la traduzione è meglio dell'originale lol).
Ora, politicamente corretti, va bene; ma qui si cade nel ridicolo.
Sono stata per un lungo periodo in Iran e lì, secondo me, aveva un senso inviare cartoline di auguri con su scritto Happy Holiday o, spesso, Best Wishes for the Season (auguri cioè per la stagione, per questo periodo di feste), prive di ogni riferimento sia religioso, sia legato alla nostra cultura occidentale (Babbo Natale, l'abete con i doni, appunto il vischio...ecc.).

Ma su un gioco su Facebook? L'abete definito "holiday tree"? Tra un po' scriveremo letterine a "Father Holiday"...E poi, dannazione, holiday significa "vacanza" e per me l'holiday tree è il pino a picco sulla spiaggia assolata mentre mi tuffo in mare...

Sapete che vi dico? io odio il politically correct. E personalmente, non mi interessa esserlo. Mi basta essere corretta tout court. Secondo me se rinunciamo così alla nostra identità culturale, in nome di una generica blandizie, diventiamo come il cibo ospedaliero: non fa male a nessuno, ma è insipido.

Comunque, gentle Bloggers 'n Readers...best wishes for the season.
Anzi: BUONE FESTE!

...dalla vostra Titania.

BABBO NATALE NON ESISTE - O SI'?



L'immagine è tratta da http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Old_Father_Christmas_Image.jpg

Tanti auguri gentle Readers 'n Bloggers. Come regalo di Natale vorrei offrirvi un mio ricordo molto personale.

Madre e figlio di dieci anni si recano in treno da alcuni parenti, per fare gli auguri di Natale. A un tratto, inopinatamente il figlio esclama: "Mamma, ammettilo, Babbo Natale non esiste! Noi ci credevamo, ma le bambine in classe ci hanno detto che non esiste!" Silenzio nello scompartimento; gli impiegati abbassano il giornale e tendono le orecchie, le ragazze sole smettono di giocare col cellulare. Attimo di esitazione della madre, pensieri affettuosi inviati a queste già ciniche (o pratiche?) bambine...poi la risposta, la stessa tramandata dalla (credula?) famiglia materna, di generazione in generazione: "Esiste solo se, e finché, ci credi". Risposta accettata e compresa; sospiro di sollievo; ognuno riprende le proprie attività.

Ed è proprio così. Babbo Natale, diceva qualcuno, esiste nella misura in cui c'è qualcuno che ti ama, che vuole farti felice e sorprenderti. Esisterà finchè nella vita ci saranno ancora un po' di mistero e di poesia. Finché "Babbo Natale", nella ricerca affannosa e segreta dei doni desiderati (più tardi ordinati con meticolose letterine, scritte in bella grafia, soprendentemente prive di errori ortografici), si divertirà almeno quanto il destinatario del dono nell'aprirli.

Come tutte le leggende, Babbo Natale esiste, se non altro nello spirito di tutti quei bambini di sempre, e di tutti quei grandi, diventati suoi complici e collaboratori.

O no?

domenica 13 dicembre 2009

ASSURDO

Farmer Jack to Farmer Tom: - My pigs are ill with the flu!
Farmer Tom: - So were mine!
Farmer Jack: -What did you give them?
Farmer Tom: - Turpentine!

Three days later...

Farmer Jack to Farmer Tom: - I gave my pigs the turpentine, as you did!
Farmer Tom: -....
Farmer Jack: - They died!!
Farmer Tom: - So did mine!


Traduzione:

Primo fattore al secondo fattore: - I miei maiali hanno l'influenza!
Secondo fattore: - Ce l'avevano anche i miei.
Primo fattore: - E cosa gli hai dato per curarli?
Secondo fattore: - La trementina!

Tre giorni dopo:

Primo fattore al secondo fattore: - Ho dato la trementina ai miei maiali!
Secondo fattore: - ...
Primo fattore: - Sono morti tutti!
Secondo fattore: - Anche i miei.

Libero adattamento da una barzelletta australiana, dove i due fattori comunicano urlando da una collina all'altra.

martedì 8 dicembre 2009

CI VORREBBE UN SONETTO

Il sonetto, come suggerisce la parola stessa, è un tipo di componimento poetico leggiadro, ritmato e adatto quindi anche ad essere musicato. Famosissimo, e messo appunto in musica anche da Liszt, quello di Petrarca sull'amore disperato:

CXXXIV - Pace non trovo e non ho da far guerra

Pace non trovo, et non ò da far guerra;
e temo, et spero; et ardo, et son un ghiaccio;
et volo sopra 'l cielo, et giaccio in terra;
et nulla stringo, et tutto 'l mondo abbraccio.
Tal m'à in pregion, che non m'apre né serra,
né per suo mi riten né scioglie il laccio;
et non m'ancide Amore, et non mi sferra,
né mi vuol vivo, né mi trae d'impaccio.
Veggio senza occhi, et non ò lingua et grido;
et bramo di perir, et cheggio aita;
et ò in odio me stesso, et amo altrui.
Pascomi di dolor, piangendo rido;
egualmente mi spiace morte et vita:
in questo stato son, donna, per voi.

Lui forse non troverà pace, ma che armonia, che ordine in questi versi! il sonetto è così. Non so se scriverlo riporti all'equilibrio interiore; ascoltarlo, o leggerlo ascoltandolo per sosì dire con la mente, sicuramente sì.

Poi ci sono quelli di Shakespeare. Ne ho sentito leggere alcuni, recentemente, a Genova (sempre al Teatro della Tosse - giuro che non sono parente del direttore lol). Lo spettacolo si intitolava Love is my Sin, dal primo verso del sonetto 142. Ho avuto la fortuna di ascoltarli accanto a qualcuno che li ha amati davvero, e così mi sono avvicinata a questa parte delle opere del mio drammaturgo preferito di cui, lo ammetto, avevo studiato a fondo solo le opere teatrali.

Sono musicali; bellissimi e densi di significato.
Ve ne propongo uno che mi pare venisse citato anche nel film "Genova". E' il numero II:

When forty winters shall besiege thy brow,
And dig deep trenches in thy beauty's field,
Thy youth's proud livery, so gaz'd on now,
Will be a tatter'd weed, of small worth held:
Then being ask'd where all thy beauty lies,
Where all the treasure of thy lusty days,
To say, within thine own deep-sunken eyes,
Were an all-eating shame and thriftless praise.
How much more praise deserv'd thy beauty's use,
If thou couldst answer, 'This fair child of mine
Shall sum my count, and make my old excuse,'
Proving his beauty by succession thine!
This were to be new made when thou art old,
And see thy blood warm when thou feel'st it
cold.

Il tema, deliziosamente semplice, è quello della maternità come compensazione alla vecchiaia della donna. Il poeta riprende infatti il tema classico della bellezza che svanisce, la rosa che appassisce...ma con grande originalità (beh in fondo è Shakespeare lol), lo sviluppa per così dire "al contrario", affermando qui che un figlio, il cui sangue scorre caldo nelle vene, potrà compensare il sangue ormai "freddo" della bella invecchiata, rispecchiando al contempo la sua antica bellezza.
Questo tema è ulteriormente sviluppato in altri sonetti, ad esempio il 141, dove il poeta dichiara che anche se vede benissimo i difetti - non solo fisici - dell'amata, è il suo cuore che gli comanda di amarla a dispetto dei sensi e del buon senso. Dichiarazione d'amore stupenda, e detta con quell'apparente leggerezza (governata in realtà dal massimo rigore metrico) che è propria del sonetto. Un po' come la musica di Mozart: lieve ma precisa.

Esprimere il disordine dell'emozione attraverso una forma di arte ordinata o, comunque, armoniosa...e all'inverso, comunicare il rigore di un ragionamento toccando le emozioni di chi sente...è la prerogativa di artisti e poeti. Speriamo che continuino a nascere.

venerdì 4 dicembre 2009

E' TEMPO DI PREMI

Fuori fa freddo, succedono cose, il 2012 si avvicina...Cosa sarebbe la vita senza un po' di leggerezza?

E allora Gentle Readers 'n Bloggers, penso sia giunto il momento di assegnare i premi per il famosissimo concorso "indovinello francese", da me lanciato l'ormai lontano 7 settembre.

La risposta è che si tratta di un gioco di parole tra due verbi, suivre e etre, che nelle prime due persone sono uguali: per cui je suis cioè "io sono", è uguale a je suis nel significato di "io seguo". La soluzione è quindi duplice: le verbe etre/le verbe suivre.

Ora leggendo i vostri commenti a quel post, mi pare evidente che quella di Enrica sia la risposta più giusta: io sono io ma non sono quello che ero fino a un attimo fa (cioè: non sono quello che seguo).

Ecco dunque, per Enrica Galassi, l'"ambito" premio Free and Clever Spirit:







Ed a Guardiano del Faro, che stando al gioco ha tentato, per il suo "coraggio": il premio Gentle but Brave.






Ai Gentle Readers rimasti invisibili perché conocevano (da me) il risultato: grazie di non averlo rivelato lol.

E a tutti: grazie di aver giocato con me.

Il prossimo indovinello sarà in inglese...

domenica 29 novembre 2009

LA SCUOLA E LE TRE "P"




L''illustrazione è tratta dal sito http://silver-phoenix17.deviantart.com/ e rappresenta il Castello di Hogwarts: un luogo dove gli studenti desiderano andare, sono anzi pronti a combattere per andarci; un luogo dove imparare è bello; dove la cultura è mistero da scoprire e il mistero è cultura da assimilare.

Va bene, sono una fan di Harry Potter, a ciascuno i suoi vizi no?
E poi non dimentichiamo che J.K. Rowling, prima, faceva l'insegnante; qualcosa ne saprà, e scommetto che anche se passava gran parte del suo tempo a sognare le avventure del maghetto, era un'ottima insegnante; anzi, forse lo era proprio per quello lol.

Ma dove voglio arrivare? Queste riflessioni me le ha suggerite un post di Alberto Cane ( dove si parla di cultura e dell' "analfabetismo di ritorno" dei giovani.

Secondo me, quello che manca oggi è soprattutto il concetto di gratuità della cultura; perché quando una cosa è fatta gratuitamente, cioè senza uno scopo pratico immediato, appassiona di più.

Ai miei tempi c'era la moda del "perito chimico": quanti intellettuali mancati, costretti dalle famiglie benintenzionate (a volte avide) a prendere quel maledetto diplomino! poi Genova fu "denuclearizzata", i diplomi da perito gettati nel cestino della carta straccia, e crebbe una generazione di impiegati frustrati e acidissimi (so che ne conoscerete anche voi, Gentle Bloggers 'n Readers). Anche la laurea in legge fece parecchie vittime tra potenziali letterati, sognatori, maestri (ed anche tra chi si sentiva tutt'e tre le cose insieme lol).

Del resto si sa che le grandi aziende cercano spesso, per gli impieghi più importanti, i laureati in filosofia...che cosa di più apparentemente inutile ai fini pratici? però i dirigenti sanno che il laureato in "filo" avrà una forma mentis, un'elasticità mentale, una disponibilità ad aggiornarsi e ad assimilare i contenuti nuovi che mano a mano si rendessero necessari, insostituibili.

Per un certo periodo insegnai in una scuola di Grenoble, in Francia; decisi, con entusiasmo, di frequentarne l'Università; seguivo i corsi con interesse ed impegno, solo non intendevo sostenere esami, anche perché stavo già preparando la mia tesi di laurea per l'università italiana.
Quando lo spiegai ad un professore questi si indignò: "ah lei è qui come una sorta di turista!" esclamò offeso.

Turista della cultura, perché no? io volevo imparare ciò che insegnava, certe sue lezioni su Balzac me le ricordo ancora; chissà se tutti i suoi studenti di allora, esami o no, possono dire altrettanto.

Il bello dell'imparare è proprio il farlo per passione, non sempre per una "ricompensa".

A scuola svolgo con cura la valutazione perché fa parte dei miei compiti; ma prediligo quei corsi extra-scolastici, dove non valuto i miei alunni, conversiamo soltanto in lingua, e ... sapete che c'è? imparano il triplo lol.

Allora ecco le tre "p" della scuola: Passione per l'apprendimento, Prove ed errori (gli errori ci vogliono), Percorso personale (perché apprendere è come un viaggio, e ognuno arriva con i suoi mezzi); sì mi rendo conto che come slogan non va molto bene; è proprio questo il punto, la cultura non ci sta a farsi rinchiudere in uno slogan (punto con la "p", ah ahl!). E aggiungerei: Perdita (apparente) di tempo.

Perché lo studio vuole spazio, vuole momenti vuoti, momenti di ozio anche, dai quali nasce poi l'idea, la voglia di studiare, magari un necessario senso di colpa.

In fin dei conti, è proprio per questo che mi piace il blog: non ha un fine pratico; è bello (dico per me curarlo; spero anche leggerlo lol) e basta.

sabato 28 novembre 2009

LA SCUOLA E NOI



Lo scanner non funziona , ma la vignetta mi piace così tanto che ho deciso di fotografarla, per condividerla comunque con voi. E' di F. Gulmanelli.

Che ne pensate Gentle readers 'n Bloggers?

Scusate la pochezza dei miei mezzi di oggi lol.