venerdì 18 dicembre 2009

FATHER HOLIDAY...HO HO HO!

Resto di stucco nel vedere su Facebook versione U.S.A. e, in particolare, sul gioco Farmville che al posto di Christmas, per non urtare la suscettibilità di nessuno, si scrive holiday. Così si hanno: happy holiday al posto di "merry Christmas", ma anche: holiday tree (l'abete), holiday door (una porta con sopra il vischio), e così via. Ne parla anche il "Venerdì" di Repubblica a proposito degli auguri di Obama, traducendo, elegantemente, "Buone Feste" (che in italiano è ineccepibile; ecco un caso in cui la traduzione è meglio dell'originale lol).
Ora, politicamente corretti, va bene; ma qui si cade nel ridicolo.
Sono stata per un lungo periodo in Iran e lì, secondo me, aveva un senso inviare cartoline di auguri con su scritto Happy Holiday o, spesso, Best Wishes for the Season (auguri cioè per la stagione, per questo periodo di feste), prive di ogni riferimento sia religioso, sia legato alla nostra cultura occidentale (Babbo Natale, l'abete con i doni, appunto il vischio...ecc.).

Ma su un gioco su Facebook? L'abete definito "holiday tree"? Tra un po' scriveremo letterine a "Father Holiday"...E poi, dannazione, holiday significa "vacanza" e per me l'holiday tree è il pino a picco sulla spiaggia assolata mentre mi tuffo in mare...

Sapete che vi dico? io odio il politically correct. E personalmente, non mi interessa esserlo. Mi basta essere corretta tout court. Secondo me se rinunciamo così alla nostra identità culturale, in nome di una generica blandizie, diventiamo come il cibo ospedaliero: non fa male a nessuno, ma è insipido.

Comunque, gentle Bloggers 'n Readers...best wishes for the season.
Anzi: BUONE FESTE!

...dalla vostra Titania.

BABBO NATALE NON ESISTE - O SI'?



L'immagine è tratta da http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Old_Father_Christmas_Image.jpg

Tanti auguri gentle Readers 'n Bloggers. Come regalo di Natale vorrei offrirvi un mio ricordo molto personale.

Madre e figlio di dieci anni si recano in treno da alcuni parenti, per fare gli auguri di Natale. A un tratto, inopinatamente il figlio esclama: "Mamma, ammettilo, Babbo Natale non esiste! Noi ci credevamo, ma le bambine in classe ci hanno detto che non esiste!" Silenzio nello scompartimento; gli impiegati abbassano il giornale e tendono le orecchie, le ragazze sole smettono di giocare col cellulare. Attimo di esitazione della madre, pensieri affettuosi inviati a queste già ciniche (o pratiche?) bambine...poi la risposta, la stessa tramandata dalla (credula?) famiglia materna, di generazione in generazione: "Esiste solo se, e finché, ci credi". Risposta accettata e compresa; sospiro di sollievo; ognuno riprende le proprie attività.

Ed è proprio così. Babbo Natale, diceva qualcuno, esiste nella misura in cui c'è qualcuno che ti ama, che vuole farti felice e sorprenderti. Esisterà finchè nella vita ci saranno ancora un po' di mistero e di poesia. Finché "Babbo Natale", nella ricerca affannosa e segreta dei doni desiderati (più tardi ordinati con meticolose letterine, scritte in bella grafia, soprendentemente prive di errori ortografici), si divertirà almeno quanto il destinatario del dono nell'aprirli.

Come tutte le leggende, Babbo Natale esiste, se non altro nello spirito di tutti quei bambini di sempre, e di tutti quei grandi, diventati suoi complici e collaboratori.

O no?

domenica 13 dicembre 2009

ASSURDO

Farmer Jack to Farmer Tom: - My pigs are ill with the flu!
Farmer Tom: - So were mine!
Farmer Jack: -What did you give them?
Farmer Tom: - Turpentine!

Three days later...

Farmer Jack to Farmer Tom: - I gave my pigs the turpentine, as you did!
Farmer Tom: -....
Farmer Jack: - They died!!
Farmer Tom: - So did mine!


Traduzione:

Primo fattore al secondo fattore: - I miei maiali hanno l'influenza!
Secondo fattore: - Ce l'avevano anche i miei.
Primo fattore: - E cosa gli hai dato per curarli?
Secondo fattore: - La trementina!

Tre giorni dopo:

Primo fattore al secondo fattore: - Ho dato la trementina ai miei maiali!
Secondo fattore: - ...
Primo fattore: - Sono morti tutti!
Secondo fattore: - Anche i miei.

Libero adattamento da una barzelletta australiana, dove i due fattori comunicano urlando da una collina all'altra.

martedì 8 dicembre 2009

CI VORREBBE UN SONETTO

Il sonetto, come suggerisce la parola stessa, è un tipo di componimento poetico leggiadro, ritmato e adatto quindi anche ad essere musicato. Famosissimo, e messo appunto in musica anche da Liszt, quello di Petrarca sull'amore disperato:

CXXXIV - Pace non trovo e non ho da far guerra

Pace non trovo, et non ò da far guerra;
e temo, et spero; et ardo, et son un ghiaccio;
et volo sopra 'l cielo, et giaccio in terra;
et nulla stringo, et tutto 'l mondo abbraccio.
Tal m'à in pregion, che non m'apre né serra,
né per suo mi riten né scioglie il laccio;
et non m'ancide Amore, et non mi sferra,
né mi vuol vivo, né mi trae d'impaccio.
Veggio senza occhi, et non ò lingua et grido;
et bramo di perir, et cheggio aita;
et ò in odio me stesso, et amo altrui.
Pascomi di dolor, piangendo rido;
egualmente mi spiace morte et vita:
in questo stato son, donna, per voi.

Lui forse non troverà pace, ma che armonia, che ordine in questi versi! il sonetto è così. Non so se scriverlo riporti all'equilibrio interiore; ascoltarlo, o leggerlo ascoltandolo per sosì dire con la mente, sicuramente sì.

Poi ci sono quelli di Shakespeare. Ne ho sentito leggere alcuni, recentemente, a Genova (sempre al Teatro della Tosse - giuro che non sono parente del direttore lol). Lo spettacolo si intitolava Love is my Sin, dal primo verso del sonetto 142. Ho avuto la fortuna di ascoltarli accanto a qualcuno che li ha amati davvero, e così mi sono avvicinata a questa parte delle opere del mio drammaturgo preferito di cui, lo ammetto, avevo studiato a fondo solo le opere teatrali.

Sono musicali; bellissimi e densi di significato.
Ve ne propongo uno che mi pare venisse citato anche nel film "Genova". E' il numero II:

When forty winters shall besiege thy brow,
And dig deep trenches in thy beauty's field,
Thy youth's proud livery, so gaz'd on now,
Will be a tatter'd weed, of small worth held:
Then being ask'd where all thy beauty lies,
Where all the treasure of thy lusty days,
To say, within thine own deep-sunken eyes,
Were an all-eating shame and thriftless praise.
How much more praise deserv'd thy beauty's use,
If thou couldst answer, 'This fair child of mine
Shall sum my count, and make my old excuse,'
Proving his beauty by succession thine!
This were to be new made when thou art old,
And see thy blood warm when thou feel'st it
cold.

Il tema, deliziosamente semplice, è quello della maternità come compensazione alla vecchiaia della donna. Il poeta riprende infatti il tema classico della bellezza che svanisce, la rosa che appassisce...ma con grande originalità (beh in fondo è Shakespeare lol), lo sviluppa per così dire "al contrario", affermando qui che un figlio, il cui sangue scorre caldo nelle vene, potrà compensare il sangue ormai "freddo" della bella invecchiata, rispecchiando al contempo la sua antica bellezza.
Questo tema è ulteriormente sviluppato in altri sonetti, ad esempio il 141, dove il poeta dichiara che anche se vede benissimo i difetti - non solo fisici - dell'amata, è il suo cuore che gli comanda di amarla a dispetto dei sensi e del buon senso. Dichiarazione d'amore stupenda, e detta con quell'apparente leggerezza (governata in realtà dal massimo rigore metrico) che è propria del sonetto. Un po' come la musica di Mozart: lieve ma precisa.

Esprimere il disordine dell'emozione attraverso una forma di arte ordinata o, comunque, armoniosa...e all'inverso, comunicare il rigore di un ragionamento toccando le emozioni di chi sente...è la prerogativa di artisti e poeti. Speriamo che continuino a nascere.

venerdì 4 dicembre 2009

E' TEMPO DI PREMI

Fuori fa freddo, succedono cose, il 2012 si avvicina...Cosa sarebbe la vita senza un po' di leggerezza?

E allora Gentle Readers 'n Bloggers, penso sia giunto il momento di assegnare i premi per il famosissimo concorso "indovinello francese", da me lanciato l'ormai lontano 7 settembre.

La risposta è che si tratta di un gioco di parole tra due verbi, suivre e etre, che nelle prime due persone sono uguali: per cui je suis cioè "io sono", è uguale a je suis nel significato di "io seguo". La soluzione è quindi duplice: le verbe etre/le verbe suivre.

Ora leggendo i vostri commenti a quel post, mi pare evidente che quella di Enrica sia la risposta più giusta: io sono io ma non sono quello che ero fino a un attimo fa (cioè: non sono quello che seguo).

Ecco dunque, per Enrica Galassi, l'"ambito" premio Free and Clever Spirit:







Ed a Guardiano del Faro, che stando al gioco ha tentato, per il suo "coraggio": il premio Gentle but Brave.






Ai Gentle Readers rimasti invisibili perché conocevano (da me) il risultato: grazie di non averlo rivelato lol.

E a tutti: grazie di aver giocato con me.

Il prossimo indovinello sarà in inglese...

domenica 29 novembre 2009

LA SCUOLA E LE TRE "P"




L''illustrazione è tratta dal sito http://silver-phoenix17.deviantart.com/ e rappresenta il Castello di Hogwarts: un luogo dove gli studenti desiderano andare, sono anzi pronti a combattere per andarci; un luogo dove imparare è bello; dove la cultura è mistero da scoprire e il mistero è cultura da assimilare.

Va bene, sono una fan di Harry Potter, a ciascuno i suoi vizi no?
E poi non dimentichiamo che J.K. Rowling, prima, faceva l'insegnante; qualcosa ne saprà, e scommetto che anche se passava gran parte del suo tempo a sognare le avventure del maghetto, era un'ottima insegnante; anzi, forse lo era proprio per quello lol.

Ma dove voglio arrivare? Queste riflessioni me le ha suggerite un post di Alberto Cane ( dove si parla di cultura e dell' "analfabetismo di ritorno" dei giovani.

Secondo me, quello che manca oggi è soprattutto il concetto di gratuità della cultura; perché quando una cosa è fatta gratuitamente, cioè senza uno scopo pratico immediato, appassiona di più.

Ai miei tempi c'era la moda del "perito chimico": quanti intellettuali mancati, costretti dalle famiglie benintenzionate (a volte avide) a prendere quel maledetto diplomino! poi Genova fu "denuclearizzata", i diplomi da perito gettati nel cestino della carta straccia, e crebbe una generazione di impiegati frustrati e acidissimi (so che ne conoscerete anche voi, Gentle Bloggers 'n Readers). Anche la laurea in legge fece parecchie vittime tra potenziali letterati, sognatori, maestri (ed anche tra chi si sentiva tutt'e tre le cose insieme lol).

Del resto si sa che le grandi aziende cercano spesso, per gli impieghi più importanti, i laureati in filosofia...che cosa di più apparentemente inutile ai fini pratici? però i dirigenti sanno che il laureato in "filo" avrà una forma mentis, un'elasticità mentale, una disponibilità ad aggiornarsi e ad assimilare i contenuti nuovi che mano a mano si rendessero necessari, insostituibili.

Per un certo periodo insegnai in una scuola di Grenoble, in Francia; decisi, con entusiasmo, di frequentarne l'Università; seguivo i corsi con interesse ed impegno, solo non intendevo sostenere esami, anche perché stavo già preparando la mia tesi di laurea per l'università italiana.
Quando lo spiegai ad un professore questi si indignò: "ah lei è qui come una sorta di turista!" esclamò offeso.

Turista della cultura, perché no? io volevo imparare ciò che insegnava, certe sue lezioni su Balzac me le ricordo ancora; chissà se tutti i suoi studenti di allora, esami o no, possono dire altrettanto.

Il bello dell'imparare è proprio il farlo per passione, non sempre per una "ricompensa".

A scuola svolgo con cura la valutazione perché fa parte dei miei compiti; ma prediligo quei corsi extra-scolastici, dove non valuto i miei alunni, conversiamo soltanto in lingua, e ... sapete che c'è? imparano il triplo lol.

Allora ecco le tre "p" della scuola: Passione per l'apprendimento, Prove ed errori (gli errori ci vogliono), Percorso personale (perché apprendere è come un viaggio, e ognuno arriva con i suoi mezzi); sì mi rendo conto che come slogan non va molto bene; è proprio questo il punto, la cultura non ci sta a farsi rinchiudere in uno slogan (punto con la "p", ah ahl!). E aggiungerei: Perdita (apparente) di tempo.

Perché lo studio vuole spazio, vuole momenti vuoti, momenti di ozio anche, dai quali nasce poi l'idea, la voglia di studiare, magari un necessario senso di colpa.

In fin dei conti, è proprio per questo che mi piace il blog: non ha un fine pratico; è bello (dico per me curarlo; spero anche leggerlo lol) e basta.

sabato 28 novembre 2009

LA SCUOLA E NOI



Lo scanner non funziona , ma la vignetta mi piace così tanto che ho deciso di fotografarla, per condividerla comunque con voi. E' di F. Gulmanelli.

Che ne pensate Gentle readers 'n Bloggers?

Scusate la pochezza dei miei mezzi di oggi lol.

sabato 21 novembre 2009

GLI INTRADUCIBILI: SAMAR



L'intraducibile di oggi lo è davvero, nel senso che è una parola da una cultura e da una lingua per noi (per me) molto lontane: l'arabo. Ho trovato questa espressione nel bellissimo libro L'harem e l'Occidente di Fatema Mernissi, edito da Giunti (la mia edizione è del 2000) . Samar, ci spiega l'autrice, è "il gioco del linguaggio nel cuore della notte"; è (anche) una sorta di seduzione atraverso la cultura e le parole: Fatema M. ne parla, in particolare, con riferimento alla mitica Shahrazad, molto lontana dal prototipo di donna "dell'harem" tramandato da noi occidentali: lei seduce, infatti, soltanto con le sue parole, con i suoi racconti, insomma...con la testa. Ma questo sarà un altro post lol.

Torniamo a samar, che ha un significato più esteso. Lo lascio spiegare all'autrice del libro:


"Samar è una delle molte parole arabe cariche di sensualità: significa semplicemente parlare nella notte. Parlare dolcemente nella notte può aprire la via a sensazioni incredibili per entrambi i partners. Il samar raggiunge la perfezione nelle notti di luna: 'l'ombra della luna' (dhill-al-qamar) è un altro significato di samar. Nell'ombra della luna, gli amanti si dissolvono nella loro origine cosmica e diventano parte dello splendore celeste. Nell'ombra della luna, il dialogo tra uomo e donna, difficile come può sembrare in pieno giorno, diventa possibile. La fiducia tra i sessi ha più di una chance di fiorire quando l'ordine diurno, teso al conflitto, si attenua. Questa è la speranza che i seguaci del samar sembrano coltivare".

FATEMA MERNISSI


Due parole sull'immagine che ho scelto. Le solite "Arabian Nights", oltre ad essere banali e stra-viste, facevano smaccatamente riferimento al sesso, come se fosse quello l'unico "dialogo nella notte" possibile tra uomo e donna.

La figura rappresenta il samar come me lo immagino io, dopo aver letto l'avvincente spiegazione di Fatema M.:

Uomo e donna fanno un viaggio insieme. Per strada litigano quasi sempre; battibeccano per futili motivi, oppure sono arrivati quasi ad odiarsi, per gravi motivi. Poi scende la notte; si fermano. Uno dice qualcosa all'altro (su un libro letto? sul paesaggio? su una frase bella che ha sentito pronunciare?); l'altro gli risponde. Si guardano. Improvvisamente, si capiscono.

domenica 15 novembre 2009

LA SCUOLA IN POLONIA E L'AMORE PER LA LETTURA





Voltaire, quando non voleva nominare direttamente la Francia, parlava della Polonia. Anche un direttore che conosco, quando vuole muovere una critica alle scuole "rivali", adotta questo espediente, che trovo elegante e simpatico.

Ecco allora oggi, Gentle Readers 'n Bloggers, vi dirò che laggiù, in Polonia appunto, per inculcare ai giovani l'amore per la lettura...voi mi chiederete, cosa si fa? forse l'insegnante carismatico legge ad alta voce dei brani dai suoi libri preferiti? forse li racconta agli studenti, cercando di trasmettere loro la passione con cui lui/lei li ha letti, mettendoci del suo, raccontando, emozionandosi per far capire che leggere può essere "uno sballo"? Oppure chiede loro di portare in classe un libro che hanno amato?

No, no, no, naive readers!!!

Laggiù, dico in Polonia, si danno i libri da leggere agli studenti entro una settimana, e poi se ne chiede la famigerata "relazione"...naturalmente si tratta di libri politicamente corretti, ad es, sull'uguaglianza tra bianchi e neri (con stupore dei ragazzini che, avendo amici di tutti i colori, la davano per scontata), oppure libri di sessant'anni fa (ma già noiosi allora)...o ancora - il cielo ce ne scampi - libri scritti "per ragazzi", orrore!, scritti a tavolino dico, dove l'autore fa compiaciuto sfoggio della sua cultura e del suo, del tutto immaginario, saper rivolgersi a loro...

Un collega che non c'è più, un grande insegnante, amava ripetere: "I verbi leggere e amare non vogliono l'imperativo". E'una citazione da Comme un roman di Daniel Pennac, ma lui amava farla passare per sua; c'ero caduta anch'io, è stata un'amica un po' invidiosa a rendermi edotta di questo piccolo "plagio" verbale. Ora mi piace ricordarlo anche con questa sua innocente vanità intellettuale, perché mi sembra così di farlo rivivere; e perché lui, quel detto, lo aveva fatto profondamente suo.

Nel senso che rispettava i ragazzi; proponeva, e non imponeva, titoli di libri; magari leggendo in classe qualche brano, narrandone l'inizio in modo da invogliare a conoscere il seguito...

Perchè leggere non dev'essere una tortura, ma un divertimento. E da giovani, si impara ad amare la lettura (come pure le altre cose), solo se se ne trae piacere ed intrattenimento.

Anche il vizio della lettura, come gli altri vizi, una volta preso non si perde facilmente. E' che è più difficile da trasmettere. Ne vale la pena però.

Gentle Readers 'n Bloggers! Mi accorgo che alla fine del post ho pontificato lol... Se non siete d'accordo, ditelo! apriamo pure un dibattito su come la scuola affronta la lettura; naturalmente in Polonia lol.

sabato 14 novembre 2009

EMOZIONI VERE A TEATRO

All'ultimo minuto, sono riuscita a vedere lo spettacolo "2984" al teatro dela Tosse, a Genova, con Marina Remi nella parte di Giulia.

Amo Orwell che volli anche ad introduzione di questo mio blog, ed ero un po' prevenuta nei confronti della rappresentazione teatrale di un libro così intenso e linguisticamente complesso (trovai infatti, a suo tempo, piuttosto brutto il film). In effetti ci andavo soprattutto per vedere recitare Marina Remi, che seguo da anni e considero un po' un'amica, anche se non la conosco (ancora lol) personalmente.
Ma fin dall'inizio, sono stata avvolta da un'atmosfera autenticamente orwelliana ed ho provato emozioni vere: l'ansia della separazione "forzata" dal mio compagno (gli uomini da una parte, le donne dall'altra ripeteva meccanicamente una voce femminile dal monitor); l'indignazione interiore per i "due minuti d'odio" contro Goldstein (l'unico che cerca di mettere sull'avviso contro Big Brother); un certo senso di umiliazione nel dover indossare la tuta sopra i vestiti, l'affascinato orrore nel contemplare gli schermi che ripetevano sempre la stessa cosa...Lo spirito del libro è stato colto a meraviglia; le citazioni sono quelle giuste; il "FIL" (indice di felicità che, secondo la T.V. di Big Brother, sarebbe in costante aumento) un adattamento geniale. E quando sullo schermo compariva la scritta: "ALZATEVI!" ci alzavamo davvero tutti (quasi tutti), dapprima forse per "stare al gioco" del teatro interattivo, ma poi...storditi dalle ripetizioni ossessive del teleschermo...per un inquietante riflesso. Marina Remi una Giulia vera, sensuale "ma" elegante, lieve ma decisa, ironica ma appassionata.

Sia il romanzo, che questa sua geniale trasposizione, mi hanno sempre lasciata con una sensazione curiosa: è amaro, sì. Finisce male, certo: i due amanti si tradiscono e finiscono per negare il loro amore. Finisce, anzi, malissimo: nell'ultima frase del libro, Winston dichiara di amare ormai davvero il Grande Fratello. Eppure...sarò idealista e sentimentale. Quello che mi resta nel cuore, dopo aver letto e visto, è la storia d'amore tra Giulia e Winston; è la ribellione interiore di Winston, la libertà del suo intelletto. Penso che Orwell avesse scritto quel finale, ma non lo amasse.

Quanto a quelli, esseri umani come noi, che hanno pensato bene di prendere il nome "Big Brother" per farne il titolo di un ignobile format...ecco, di solito non sono violenta, ma un saltino nella stanza 101 (dove la tortura consiste in ciò che è peggio per ciascuno di noi) forse glielo farei fare. Perché loro sono tra quelli che, un giorno, potrebbero fare avverare le profezie paurose di Orwell. A cominciare dal digitale terrestre obbligatorio per tutti lol.

Ovazioni, riconoscenza e amore, invece, per il Teatro della Tosse e i suoi attori: con il loro lavoro e la loro arte allontanano quel giorno.

sabato 7 novembre 2009

GLI INTRADUCIBILI (?) E UN FILM







(Above: Colin Firth in three of his utmost facial expressions).



L'espressione "intraducibile" che voglio proporvi è tongue in cheek, cioè letteralmente, "lingua appoggiata all'interno della guancia". Provate a farlo e guardatevi allo specchio: avrete assunto un'espressione un po' cinica, di chi fa le cose " a tavolino", ma non ci crede troppo. Ad esempio, si può scrivere un romanzo "tongue in cheek": anche se, mi dicono, i veri best-seller sono scritti credendoci.

Il film, come avrete intuito lol, è Genova di Michael Winterbottom. Acclamato in Inghilterra, lo attendevo qui con impazienza. E' stata una delusione, non tanto per le immagini stereotipate di Genova (che mi aspettavo), quanto per i cliché anche nei personaggi: la studentessa italiana (anzi, meridionale) procace e intraprendente, il fidanzato italiano inaffidabile, gli operai italiani che corteggiano e quasi insidiano le ragazze...negli anni cinquanta forse, ora lo sanno tutti che sono troppo depressi...Conoscendo un po' la mentalità e i preconcetti di certo mondo anglosassone sulle madri italiane, ci metterei anche l'affascinante ed ambigua figura della mamma-fantasma (italiana anche lei): così possessiva nel suo amore per la figlia piccola, che quasi quasi è tentata di portarsela nell'aldilà.

Colin Firth più inespressivo del previsto, nella parte del vedovo triste, del padre amorevole e ansioso, dell'uomo corteggiato e incuriosito, del professore appassionato dal suo lavoro, dell'amico: sempre uguale lol.
Mi è piaciuta di più Willa Holland nella parte della figlia grande, che reagisce al dolore cercando di stordirsi; ma anche di ritrovare la sua parte bambina, nel ripetere quel gesto di coprirsi gli occhi con le mani, seduta dietro in moto, per indovinare le auto che passano.
Finale brusco, sconcertante, con le bambine che iniziano la scuola in Italia: forse ad indicare un ritorno alla normalità, ma non mi è sembrato affatto chiaro.

Tornando a tongue in cheek, la mia impressione è che il film sia stato fatto così: magari era da tempo che Winterbottom voleva girare un film su Genova, ma lo ha realizzato più per mostrarne gli aspetti secondo lui significativi (quindi con la testa), che con il cuore.

Però mentre ne scrivo...sapete che vi dico gentle readers...il film non è poi così brutto, e alla fine si fa ricordare.

Se non siete di Genova e volete venirci sappiate che la cosa più vera del film, comunque, è il traffico infernale e diabolico di Piazza Cavour.

mercoledì 4 novembre 2009

NON CERCATE DI PRENDERE I POETI...*






Poetessa: questa parola non mi piace. Trovo che "poeta", come "ministro" e "avvocato" (anzi, a maggior ragione) dovrebbe essere un titolo onorifico, indipendentemente dal sesso della persona.

Il libro mostrato, da cui è tratta anche la citazione del titolo, è "Aforismi e magie", di Alda Merini, edito da BUR; l'illustrazione è di Alberto Casiraghi, che fece questo libro volutamente "leggero" insieme a lei. Leggendolo si capisce come devono essersi divertiti; con il sorriso vero di chi ha sofferto, e conosce il potere dell'ironia per lenire le sofferenze umane.

La citazione del titolo continua:
*...perché vi scapperanno tra le dita. (ALDA MERINI)

Vale per tutti, anche per Sorella Morte, che in fondo non è riuscita a prenderla del tutto. Chi non ci crede, legga le sue poesie.

mercoledì 28 ottobre 2009

ENTUSIASMO PER LA SCIENZA





Stanchezza, malumore, irritabilità e uno scarsissimo senso di tolleranza verso il prossimo. Una giornata così. Mi trascino nell'atrio del Palazzo della Regione, a Genova, e mi munisco, più o meno pazientemente, di cartellino per prendere i biglietti per il Festival della Scienza, per famiglia ed alunni..chiedo un'informazione a una signora più matura degli altri, probabilmente una responsabile, che indossa la (bellissima lol) maglietta del festival. E' qui che cambia tutto. Il suo entusiasmo, il sorriso radioso, la dovizia di particolari con cui mi risonde mi ricordano perché sono lì: perché fin dal primo festival della Scienza rimasi colpita dal modo in cui ragazzi giovani rispondevano, con grande pazienza ma anche con amore per la loro materia, alle inesauribili ed inesorabili domande di un bambino di cinque anni sul firmamento; era come se loro avessero il suo stesso entusiasmo, con in più le conoscenze, e non finissero di stupirsene, e di volerle condividere, queste conoscenze. Davvero bello.

E sempre sul festival...detesto la parola "femminismo" e tutto ciò che si avvicina all'etichetta e alla generalizzazione. Però, questa volta, lasciatemelo dire: che bello vedere ragazze giovani, belle e sexy come, del resto, quasi tutti i giovani oggi, vestite con la maglietta del festival ma con dieci strati di maglie sotto (per via del freddo) e intente, non già ad ammiccare, ma a convincere dei giovani recalcitranti che il ciclo dell'acqua è una cosa affascinante...

Io non mi intendo di scienza. Fui anche, a suo tempo, ignominiosamente rimandata in fisica. Ma al festival vado sempre, con o senza la scusa di accompagnare qualcuno ai vari laboratori, sentendomi come credo possa sentirsi una persona che, pur non avendo finito le elementari, legge avidamente tutta la letteratura che trova...ci vado per imparare; ci vado perché l'amore per il sapere e la luce dell'intelletto sono cose belle; ci vado perché l'entusiasmo è contagioso.
La foto è tratta da http://multimedia.blogosfere.it/, sito che dà anche informazioni sugli eventi legati al festival.

sabato 17 ottobre 2009

MAURIZIO CROZZA AL GENOVESE



La foto l'ho presa da forumambientalista.wordpress.com.

Di Crozza mi piacciono l'umorismo (quasi) mai greve; l'ironia, anche nel parlare delle cose più quotidiane; la voce calda e pacata.

I suoi sketch e le battute che preferisco:

- il losco individuo che vende, a mariti e mogli infedeli, finte prove di congressi all'estero (la migliore: l'opuscolo sul "convegno sulla vite filettata" che si svolge a Parigi di venerdì, sabato e domenica);

- "Friedman l'economista" che, per dimostrare che molti prodotti non sono affatto aumentati di prezzo con l'inflazione, cita come esempio lo champagne per gatti ("non è aumentato di un solo euro", con forte accento inglese);

-Veltroni che, per essere obiettivo e non dogmatico, finisce per perdere incisività: "A questo noi siamo contrari, ma anche favorevoli; e terremo una linea dura, ma anche morbida...";

- l'imitazione di papa Ratzinger e della sua gelosia per Wojtyla ("frateli e soreli...perché suo accento faceva sorridere e il mio arrabbiare?"); la sua vanità nel provare gli "abiti" nuovi...Crozza ha dovuto sospenderla (e anche a teatro, mentre la eseguiva su richiesta, sembrava francamente impacciato); ma a me non è mai sembrata blasfema, anzi, come tutte le imitazioni riuscite, mi pareva che ne trapelasse una certa simpatia e indulgenza per la "vittima".

- l'imitazione di Renzo Piano che "fa i capricci" e vuole trasferire il porto di Genova Voltri a Bolzaneto, sulle alture.


Nello spettacolo di venerdì Crozza ha spaziato dai fratelli Grimm, alla politica, alla scuola, ai suoi ricordi d'infanzia e da ragazzo. Non un attimo di noia. Ho apprezzato meno le battute su Mr B e le "escort" sia perché un po' facili, sia perché è una faccenda che secondo me suscita più che altro tristezza; e la rappresentazione di Brunetta da inginocchiato, per deriderne la statura bassa: a me, l'umorismo basato sul fisico, semplicemente non fa ridere. E poi, mi sembra che il ministro ne abbia, di difetti per attaccarlo in modo più sottile, senza ricorrere a quello (per lo stesso motivo mi dà fastidio sentire, o leggere, "il nano". Sarà che anch'io sono bassina lol).

Invece ho apprezzato molto, in ordine sparso:

- il presidente Napolitano, "costretto" a firmare un progetto per trasformare in garage il tribunale di Milano; gli scappa da arrabbiarsi,ma è costretto dai due corazzieri a controllarsi, per via della sua alta carica, e a firmare "tentennante" come farà poi scrivere sui giornali.

- Ancora Veltroni che dice: "Noi ma anche tu ma anche voi"; la legge del moto veltroniano enunciata dallo scienziato Zichichi ("il moto di un corpo nello spazio è direttamente proporzionale alla c.....a detta da Veltroni..."); non mi ricordo il resto ma fa ridere lol;

- i fratelli Grimm che si apostrofano l'un l'altro chiamandosi "Ehi, fratelli Grimm!";

- una canzone di Luigi Tenco, che non conoscevo, sul ruolo sociale dell'artista (questa era seria, e molto bella);

- la scuola: i vandali, quando vanno a scuola, restaurano; i nostri bambini devono portarsi la carta igienica ed anche il Bancomat, perché ormai c'è la lista delle cose da comprare;

- ancora "Friedman" che, prendendo esempio dal governo, dato che ha troppe spese taglia su quelle futili e inutili, quindi non sulle meretrici, ma sull'educazione dei figli;

- la differenza tra un figlio e un parlamentare: uno non fa un c....o tutto il giorno e ogni tanto si droga; l'altro è sangue del tuo sangue.

Poi ci sono gli sketch sull'architettura, molto divertenti, dove si sente che parte dei testi di Crozza viene scritta da Vittorio Grattarola, noto, ed evidentemente spiritoso, architetto genovese:

- L'architetto "Fuffas" (invece di Fuchsas) che disegna un esagono insistendo che è un pentagono e e teorizza la costruzione di una casa senza fondamenta - "immaginate una finestrella sospesa nel nulla...sì certo crollerebbe subito, ma quale gioia estetica per il passante!" - Ma a chi ha comprato la casa cosa resta? "Il mutuo!"

_ Il geometra che, con pronunciata cadenza genovese, tenta invano di dissuadere Frank Lloyd Wright dal realizzare una casa proprio su una cascata.


Pubblico genovese "ma" caldo, numeroso e partecipe.

Per me, una serata bella e diversa; a teatro in mezzo a gente che era lì non per mostrarsi, ma per divertirsi senza smettere di pensare.

venerdì 16 ottobre 2009

Fedeltà2 - CONCLUSIONI (DEFINITIVE?)

Seconda ed ultima citazione dall'amatissimo High Fidelity.

Qui Rob, il protagonista, riflette sul perché per alcuni sia così difficile mantenere una relazione stabile:

So maybe what I said before, about how listening to too many records messes your life up...maybe there's something in it after all (...).The guy ...with the suit and the car keys, he's married too, and now he's, I don't know, a businessman. Me, I'm unmarried - at the moment as unmarried as it's possible to be - and I'm the owner of a failing record shop. It sems to me that if you place music (and books, probably, and films, and plays, and anything that makes you feel) at the centre of your being, then you can't afford to sort out your love life, start to think of it as the finished product. You've got to pick at it, keep it alive and in turmoil, you've got to pick at it and unravel it until it all comes apart and you're compelled to start all over again. Maybe we all live life at too high a pitch, those of us who absorb emotional things all day, and as a consequence we can never feel merely content: we have to be unhappy, or ecstatically, head-over-heels happy, and those states are difficult to achieve within a stable, solid relationship.

Qui Rob associa il fallimento sentimentale a quello lavorativo, come un qualcosa che riguarda tutta la persona. E fa alcune osservazioni secondo me molto acute:

Perciò, forse, quello che ho detto prima su come l'ascoltare troppi dischi ti rovini la vita...forse dopotutto c'è qualcosa di vero. (...) Il tipo ... con il vestito e le chiavi della macchina, anche lui è sposato, e ora è, non so, un uomo d'affari. Io invece non sono sposato - probabilmente, al momento, sono l'uomo meno sposato che si può immaginare - e ho un negozio di dischi che va verso il fallimento. Mi sembra che se metti la musica (e i libri, probabilmente, e i film, e il teatro, e qualunque cosa ti faccia provare emozioni) al centro del tuo essere, allora non puoi permetterti di sistemare la tua vita amorosa, cominciando a considerarla come il prodotto finito. La devi stuzzicare, tenerla viva e in subbuglio, devi andarla a toccare e disfarla finché non cade a pezzi e sei costretto a ricominciare daccapo. Forse viviamo tutti la vita ad una frequenza troppo alta, quelli tra noi che assorbono emozioni tutto il giorno, e di conseguenza, non riusciamo mai a sentirci semplicemente contenti: dobbiamo essere infelici, o estaticamente felici fino a perderne la testa, e questi stati sono difficili da ottenere in una relazione solida e stabile.


Mi piace questo linguaggio razionale, quasi tecnico (finished product, unravel, too high a pitch) per parlare di cose attinenti ai sentimenti e per giungere ad una conclusione, in definitiva, molto "romantica" (il ritorno con Laura, dai tanto ormai l'avete letto lol).

sabato 10 ottobre 2009

Fedeltà 1 - Senso di (non) appartenenza

Non avevo ancora letto High Fidelity, di Nick Hornby, pubblicato nel 95. Mi è piaciuto moltissimo, più di About a Boy che tratta di un ragazzino che diventa padre.

Di questo autore apprezzo i contenuti, ma è soprattutto per il suo raffinato e ironico linguaggio che voglio proporvelo.

High Fidelity presenta un gioco di parole fin dal titolo. Infatti l'io narrante Rob, protagonista del romanzo, è appassionato di musica pop (ha anche un negozio di dischi) e tende a stilare liste delle canzoni che preferisce o a regalare compilation registrate alle donne che vuole sedurre; alta fedeltà, quindi, nel senso "musicale" del termine. Ma nel romanzo si parla poi di fedeltà, sì proprio quella, e dell'amore.

Trovo molto accattivante il modo in cui l'autore ci porta nel mondo della sensibilità maschile, ad esempio parlando di come, da ragazzo, immaginava la convivenza con una donna (e della successiva delusione, ma con simpatica ironia); o del suo invidiare gli uomini "macho" che non soffrono come lui:

There are men who call, and men who don't call, and I'd much, much rather be one of the latter. They are proper men, the sort of men that women have in mind when they moan about us. It's a safe, solid, meaningless stereotype: the man who appears not to give a shit, who gets ditched and maybe sits in the pub on his own for a couple of evenings, and then gets on with things; and though next time around he trusts even less than he did, he hasn't made a fool of himself, or frightened anybody...

Traduco liberamente:

Ci sono uomini che telefonano, e altri che non chiamano, ed io preferirei infinitamente appartenere a quest'ultima categoria. Quelli sono veri uomini, il tipo di uomini che le donne hanno in mente quando si lamentano di noi. E' uno stereotipo sicuro, solido e insensato: l'uomo che sembra fregarsene, che viene lasciato e magari sta seduto da solo al pub per due sere, ma poi continua la sua vita; e anche se la volta dopo si fida ancora meno di prima, non si è reso ridicolo, non ha spaventato nessuno...

L'ultima frase allude al fatto che il protagonista, sconvolto per essere stato lasciato, per un certo periodo "perseguita" l'amata telefonandole, aspettandola sotto casa ecc. Nel libro viene accusato di harassment; credo che all'epoca il termine stalking non fosse ancora di moda -l'accusa comunque è impropria, dato che il nostro eroe, lungi dall'essere minaccioso, è solo disperatamente innamorato. Rob si trova a riflettere sulla fedeltà proprio perché, da traditore, torna nel ruolo (che già conosceva) di tradito. Non vi dico come va a finire, nel caso non lo aveste ancora letto e voleste farlo; vi rivelo soltanto che il finale non mi ha delusa affatto...

In una sorta di moderna educazione sentimentale, Rob, per capire perché è stato lasciato, va in cerca di tutte le sue ex. Incontra anche quella che lo ha ferito più di tutte, facendolo sentire inadeguato in ogni rapporto successivo. L'ex fidanzata Charlie (è anche un nome da donna lol), bella e "trendy" (Rob non finiva mai di stupirsi che una così stesse con lui), lo invita volentieri ad una festa, soprattutto, dice, per presentargli un'amica che le sembra adatta a lui -up your street. Il resoconto di questo party è, secondo me, esilarante nella sua semplicità e verità. Prima c'è la descrizione degli ospiti:

When I walk into the sitting room, I can see immediately that I'm doomed to die a long, slow, suffocating death. There's a man wearing a sort of brick-red jacket and another man in a carefully rumpled linen suit and Charlie in her cocktail dress and another woman wearing fluorescent leggings and a dazzling white silk blouse and another woman wearing those trousers that look like a dress but which aren't. Isn't. Whatever. And the moment I see them I want to cry, not only through terror, but through sheer envy: why isn't my life like this?
Both of the women who are not Charlie are beautiful - not pretty, no attractive, not appealing, beautiful - and to my panicking, blinking, twitching eye virtually indistinguishable: miles of dark hair, thousands of huge earrings, yards of red lips, hundreds of white teeth.

Traduco, nel modo più "fedele" possibile lol:



Quando entro nel salotto capisco subito di essere destinato ad una morte lunga, lenta e soffocante. C'è un uomo che indossa una sorta di giacca color mattone, e un altro con un vestito di lino coscienziosamente stropicciato, e Charlie con il suo abito da cocktail e un'altra donna con dei "fuseaux" fluorescenti e una camicia di seta bianca abbagliante e un'altra ancora con quei pantaloni che sembrano un vestito ma non lo sono; cioè non lo è, o come si dice. E appena li vedo mi viene da piangere e urlare, non solo per il terrore, ma per pura invidia: "Perché la mia vita non è così ?".


Entrambe le donne che non sono Charlie sono belle - non carine, non attraenti, non piacevoli, ma proprio belle - e, ai miei occhi sbarrati e contratti dal panico, virtualmente non distinguibili: metri e metri di capelli neri, migliaia di orecchini enormi, chilometri di labbra rosse, centinaia di denti bianchi.


Il "cocktail party" inizia con le presentazioni:


The one wearing the white silk blouse shuffles along Charlie's enormous sofa, which is made of glass, or lead, or gold - some intimidating, un-sofa like material, anyway - and smiles at me; Charlie interrupts the others ('Guys, guys...') and introduces me to the rest of the party. (...) Clara...Nick...Barney...Emma...if these people were ever up my street I'd have to barricade myself inside the flat.


In italiano:



Quella che indossa la camicia di seta bianca si trascina sull'enorme sofà di Charlie, che è fatto di vetro, o di piombo, o d'oro - comunque un materiale atto a intimidire, per niente da sofà - e mi sorride; Charlie interrompe gli altri ("Raga, raga...") e mi presenta. (...)Clara...Nick...Barney...Emma...se questa gente si trovasse mai davvero "sulla mia strada", sarei costretto a barricarmi dentro l'appartamento.


(Se qualcuno ha letto la traduzione italiana, forse potrebbe dirmi come hanno fatto con up my street - il gioco di parole fa riferimento al doppio senso tra "che abita nella tua via" e "molto adatto a te".)


Dopo le presentazioni, inizia la "festa", cioè la conversazione:

'We were just talking about what we'd call a dog if we had one',, says charlie. 'Emma's got a labrador called Dizzy, after Dizzy Gillespie'.

'Oh right', I say. 'I'm not very keen on dogs'.

None of them say anything for a while (...).

'Is that size of flat, or childhood fear, or the smell or...?' asks Clara, very sweetly.

'I dunno. I'm just...' I shrug hopelessly, 'you know, not very keen'.

They smile politely.

- Citare tutto sarebbe stato troppo lungo, ma leggendo il resoconto di questo "party" sembra di esserci, di sentire lo sgomento del protagonista e il suo senso di not belonging, di non appartenere a quell'ambiente e di essere completamente fuori luogo.Provo a tradurre:

'Stavamo giusto parlando di come chiameremmo un cane se ne avessimo uno', dice Charlie. 'Emma ha un labrador che si chiama Dizzy, da Dizzy Gillespie'.

Ah, sì' dico io, 'a me i cani non piacciono molto'.


Per un po' nessuno dice niente(...).


'E' per via delle dimensioni dell'appartamento, o di una fobia d'infanzia, o dell'odore...?' chiede Clara, con molta dolcezza.


'Non so. E' solo che...' alzo le spalle disperatamente, 'capito, non mi piacciono molto'.


Tutti sorridono educatamente.


Alla fine, questo si rivela il mio contributo più importante alla conversazione della serata(...).


Nick Hornby continua con un dettagliato resoconto della vuota conversazione che segue, e del suo mutismo e senso di esclusione.


Per certi aspetti lo trovo così inglese da perdersi quasi completamente nella traduzione (almeno nella mia lol, penso che ora cercherò quella italiana ufficiale!). Ad esempio Rob ironizza sul fatto che la sua ex lo abbia lasciato per un certo Marco, perché questo nome italiano così comune da noi gli sembra esotico e pretenzioso fino a sfiorare il ridicolo (un po' come un tempo da noi Deborah, con l'H; prima che l'Italia diventasse una colonia linguistica degli USA, ehm scusate la divagazione)...


Per altri versi però, i sentimenti di cui parla con delicatezza e auto-ironia; i temi del'amore, della fedeltà a se stessi e a un altro, del senso di essere nel posto sbagliato al momento sbagliato, ci toccano tutti, indipendentemente dalla lingua e dal tipo di cultura.

O no?

martedì 6 ottobre 2009

LA SCELTA

Sabato scorso ci sono state varie manifestazioni per la libertà di stampa. Ecco, a proposito, una favola di La Fontaine che amo moltissimo:



Le Loup et le Chien

Un Loup n'avait que les os et la peau,
Tant les chiens faisaient bonne garde.
Ce Loup rencontre un Dogue aussi puissant que beau,
Gras, poli, qui s'était fourvoyé par mégarde.
L'attaquer, le mettre en quartiers,
Sire Loup l'eût fait volontiers ;
Mais il fallait livrer bataille,
Et le Mâtin était de taille
A se défendre hardiment.
Le Loup donc l'aborde humblement,
Entre en propos, et lui fait compliment
Sur son embonpoint, qu'il admire.
"Il ne tiendra qu'à vous beau sire,
D'être aussi gras que moi, lui repartit le Chien.
Quittez les bois, vous ferez bien :
Vos pareils y sont misérables,
Cancres, haires, et pauvres diables,
Dont la condition est de mourir de faim.
Car quoi ? rien d'assuré : point de franche lippée :
Tout à la pointe de l'épée.
Suivez-moi : vous aurez un bien meilleur destin. "
Le Loup reprit : "Que me faudra-t-il faire ?
- Presque rien, dit le Chien, donner la chasse aux gens
Portants bâtons, et mendiants ;
Flatter ceux du logis, à son Maître complaire :
Moyennant quoi votre salaire
Sera force reliefs de toutes les façons :
Os de poulets, os de pigeons,
Sans parler de mainte caresse. "
Le Loup déjà se forge une félicité
Qui le fait pleurer de tendresse.
Chemin faisant, il vit le col du Chien pelé.
"Qu'est-ce là ? lui dit-il. - Rien. - Quoi ? rien ? - Peu de chose.
- Mais encor ? - Le collier dont je suis attaché
De ce que vous voyez est peut-être la cause.
- Attaché ? dit le Loup : vous ne courez donc pas
Où vous voulez ? - Pas toujours ; mais qu'importe ?
- Il importe si bien, que de tous vos repas
Je ne veux en aucune sorte,
Et ne voudrais pas même à ce prix un trésor. "
Cela dit, maître Loup s'enfuit, et court encor.


Gentle Bloggers and Readers! Dove state scappando? Apettate; ecco la parafrasi: un lupo, magro e patito, incontra un cane ben pasciuto; si sentirebbe in dovere di attaccar briga, ma lo vede un po' troppo robusto.

Allora, seguendo il principio "se non puoi batterli fatteli amici", gli si rivolge facendogli i complimenti per com'è bene in carne. "Ma dipende da voi" gli risponde il cane "diventare pasciuto come me e non vivere disperato nei boschi come i vostri amici lupi".

Il lupo, naturalmente, drizza le orecchie (lol) e gli chiede cosa deve fare, se deciderà di seguire il cane, per diventare un privilegiato come lui; "Quasi niente" gli risponde il cane (e qui mi piace tradurre proprio le parole usate da La Fontaine): "dare la caccia alla gente che porta dei bastoni e ai mendicanti; lusingare quelli della casa, compiacere il padrone"; così facendo, dice il cane, otterrete un ottimo salario: "ossa di pollo, ossa di piccione, senza parlare di numerose carezze./ Il lupo già si figura una felicità che lo fa piangere di tenerezza".

Strada facendo, mentre lo segue, vede il collo del cane raschiato e gli chiede di che si tratta. Il cane nicchia, cambia discorso; risponde evasivamente; ma il nostro lupo insiste. Infine ammette: "Mah (questo 'mah' lo aggiungo io lol), forse sarà a causa del collare che serve per legarmi. - Ma come per legarvi - dice il lupo - non siete dunque libero di correre dove volete? "Non sempre risponde il cane "ma che importa?" - "Importa così tanto" risponde il lupo "che non voglio saperne di tutti vostri pasti; e a questo prezzo non vorrei neppure un tesoro."

E l'incomparabile verso finale: "cela dit...(le loup) s'enfuit...et (il) court encore".

Dopo aver capito a cosa serviva il collare del cane, il lupo si mise a fuggire..e sta ancora scappando.

Buona giornata, free and gentle Readers.

domenica 13 settembre 2009

No, la festa non è qui.

Oggi voglio ispirarmi al Rockpoeta che spesso fa dei post compositi, raccogliendo più notizie unite poi dal filtro della sua sensibilità e ironia. Io non vi dò notizie, ma voglio parlarvi di due cose diverse, anche perché da troppo tempo non comunico con voi Gentle Readers lol.

In questo periodo le alture di Genova sono state colpite da incendi terribili; alcuni dolosi, altri fortuiti. Il vento trasportava le fiamme e l'odore del fuoco era ovunque; anche in città serpeggiava un senso di inquietudine. Riflettendo sul potere del fuoco, cercavo un modo per esprimere il mio sgomento di fronte al comportamento di chi provoca volontariamente un incendio, per interesse o per pazzia, e mi sono tornati in mente questi versi dello stesso Rockpoeta:

BURN!

A Noi
Va a fuoco l'anima

Piange lacrime vane
Per spegnere quel rogo.

A Noi
Bruciano i sensi
Dal dolore di quell'aria acre
Pungente
Irrespirabile.

Pazzi
O spregevoli guitti di convenienza
Uccidono ettari di sogno
E colori di vita
In un unico grande Forno Crematorio.

A Noi per il troppo calore
Soffoca la nostra bocca
Desiderosa di acqua e di verde

A loro si è ustionato il cervello.

DANIELE VERZETTI, ROCKPOETA

L'Angolo del Rockpoeta: BURN!


Questi versi per me dicono tutto, non aggiungo commenti.



Sono reduce dalla Notte Bianca e devo dire che l'ho trovata deludente; cantanti fiacchi, folle da fendere per poi raggiungere eventi banali o insignificanti...i soliti volti...qualcuno mi diceva che ci sono meno finanziamenti degli anni scorsi. Mi sembra che ci sia anche meno entusiasmo, che stia diventando un evento solo commerciale con banchetti gestiti (quelli sì) con efficienza, gadgets pubblicitari per i nostri figli (che si sono divertiti molto di più in tutte le altre serate estive al porto Antico), pubblicità "sparata" sullo schermo negli intervalli tra una canzone e l'altra della volonterosa cantante dei Gossip (e come sfuggirvi, se si è accalcati in mezzo alla folla)?

Io sarò stata stanca, ma ho raccolto diverse voci e mi pare che la delusione sia generale. Forse quest'anno, con il clima di crisi che c'è, sarebbe stato più giusto astenersi dal (presunto) clima di festa; alcuni amici, per questo, hanno scelto di non andarci proprio. E' pur vero, però, che è proprio nei momenti duri che una festa, a party, può risollevare gli animi. Solo che la festa la "fanno" le persone; sono loro che la fanno riuscire o meno. E dev'essere organizzata, anche in modo ferreo, per quanto riguarda pochi elementi essenziali (direi lo spazio, il cibo e il bere): spontanea per il resto. Ora, senza offesa per nessuno, ma forse qui a Genova la spontaneità non è proprio il nostro forte; anche la gioia di vivere poi non si spreca.


So che sietre contrari ad appiccare incendi lol, e che avete amato la poesia di Daniele Verzetti (poiché conosco la sensibilità dei miei Gentle Readers).

E alla Notte Bianca ci siete stati? condividete il mio senso di delusione? e come dev'essere, per voi, una festa?

lunedì 7 settembre 2009

INDOVINELLO FRANCESE

In palio il titolo di free AND clever spirit, assegnato da Licia Titania ed esposto all'inizio del mio blog (e del vostro se vorrete) con il vostro nick.





Je suis ce que je suis

Mais je ne suis pas ce que je suis.
Si j'étais ce que je suis,

Je ne serais pas ce que je suis!

Qui suis-je?





Si tratta di indovinare il soggetto dell'indovinello.
A vous de jouer Messieurs-dames!

Va bene dai, qualche AIUTINO lol:

- è possibile più di una risposta, purché si riveli in modo inequivocabile il senso del gioco di parole;
- impossibile arrivarci traducendo, perché è un gioco di parole basato sulla grammatica francese;
- nelle etichette c'è un grosso aiuto.

Et maintenant...c'est à vous.

lunedì 31 agosto 2009

BLACK SWANS


L'immagine del cigno nero si può trovare, nolto ma molto più bella lol, nel sito www.briancairns.com .

Non sono certo esperta di economia, ma mi ha affascinata la metafora del cigno nero.

I Black Swans, secondo Nassim Nicholas Taleb, professore di "Risk Engineering" (questa davvero non la so lol) presso l'Università di New York ed autore dell'omonimo libro, sono eventi insoliti ed imprevedibili dei quali però, dopo la loro comparsa (spesso, ma non sempre, nefasta) si dice che qualcuno li aveva predetti, senza essere creduto. In realtà è difficile che vengano pronosticati, per la loro rarità e per il verificarsi repentino in un ambiente che non lasciava presagire la loro comparsa. Dice l'autore:

What is a Black Swan? It is a low-probability, high-impact event that...cannot be scientifically evaluated in terms of risk and return. Although Black swans are rarely predicted, they are retrospectively seen as having been anticipated...Black Swans can emerge as result of our intellectual arrogance and our ignorance of our limitations. (...)

Questi eventi imprevisti colpiscono l'economia, in modo devastante da quando Internet ha reso velocissime le comunicazioni. Taleb, mi sembra di capire (non ho letto il libro ma preso queste informazioni dall'Observer del 16 agosto scorso), predica la prudenza e il non-indebitamento rispetto al rischio finanziario; egli si fa il paladino dei regular joes, cioè delle persone prudenti e che non corrono rischi, nonché degli amministratori tradizionalisti (per i quali l'indebitamento è tabù), rispetto agli esperti di analisi matematica "creativa".
Dagli stralci che ho letto si capisce che, da un punto di vista pratico, ha ragione lui. Tanto più inquietante dover riconoscere che non si farà mai parte dei "regular joes" (o "janes" lol).

Ma fuor di metafora, avete mai visto un cigno nero?

venerdì 21 agosto 2009

GLI INTRADUCIBILI(?) - FIB

In questa, strana, parolina vedo la quintessenza dello spirito britannico, nel bene e nel male: un certo formalismo che può sfociare in ipocrisia, certo; ma che significa anche cortesia, rispetto dell'altro, l'essere, appunto, gentle. Fib sta, infatti, ad indicare una piccola bugia gentile, detta generalmente a fin di bene. Esempio: " Come mi sta questo cappotto che ho appena pagato tantissimo e non posso riportare indietro?" chiede l'amica. "Ma bene, dai sì, ti sta bene!" risponde l'amica caritatevole, sperando che il prmo sguardo sgomento non l'abbia tradita. La fib può servire a non ferire: se vuoi venire a cena da me ma non ti inviterò mai, perché mi sei antipatico, ti dirò che noi ceniamo quasi sempre fuori. "Frottola" è la traduzione che si avvicina meglio, per il senso di leggerezza; però in italiano ci vedo anche una connotazione morale (del tipo "Non raccontare frottole!"), mentre fib, generalmente, nel linguaggio corrente non ne ha; sono percepiti come un po' più negativi il verbo, to fib, e il nome, fibber (chi usa spesso le fibs); forse perché altra caratteristica della fib dovrebbe essere la sua casualità, l'essere usata solo se necessaria e, comunque, mai per il proprio interesse.

Cercando fib in rete ho scoperto un bellissimo blog: gottabook.blogspot.com che intendo linkare al più presto. Inizialmente avevo pensato che l'autore del blog facesse l'elogio della fib intesa come piccola bugia; si tratta invece di una curiosa forma di componimento poetico, detta "sequenza di Fibonacci", di cui almeno io non sapevo nulla. Molto graziosa però, ve la consiglio (e sono sincera lol).

Un'ultima cosa in difesa della fib: l'origine di questa parola non è nota, ma il CHAMBER'S Dictionary ipotizza "fable"; favola insomma.

giovedì 13 agosto 2009

INCREDIBILI VISIONI



Un extra-terrestre dice all'altro: "Io una volta ho visto un sostenitore dei Laburisti ad Henley, ma nessuno mi crede".


Vignetta vecchia (si vede lo so sigh); ma cambiando pochi elementi, si può rendere attuale.
Certo, fa sorridere solo se non si è assolutamente certi dell'esistenza degli E.T.


A voi Gentle Readers 'n Bloggers.

lunedì 10 agosto 2009

UNINVITED?





L'immagine è tratta da L'orda di Gianantonio Stella, sottotitolo quando gli albanesi eravamo noi, edito dalla BUR. La didascalia della vignetta, pubblicata dal giornale australiano "Italo-Australian", dice: ITALIAN GENTLEMAN.

Sull'argomento ho visto recentemente un film, "L'ospite inatteso", in inglese The Uninvited. Forse lo conoscete: il professore americano, grazie all'inatteso contatto con degli immigrati "buoni" ed alla loro musica, ritrova se stesso. Il film era bello e ben recitato, ma un po' buonista e al tempo stesso ambiguo per i miei gusti. Ad esempio, sarà vero che nei centri di detenzione ci sono solo impiegati neri, o sarà un messaggio del regista per comunicarci che in America, però, anche i neri possono essere integrati? Cioè, voglio dire, tra quei freddi burocrati non c'è nemmeno un bianco, se ci vado io mi scartano proprio perché non sono di colore né dell'est e potrei mettere a disagio chi si presenta per parlare con i suoi cari? mah.


Sull'onda dell'emozione per alcuni recenti fatti di cronaca, fra i quali cito quello che mi ha più colpita: un senegalese picchiato a sangue (forse non solo per aver guardato una ragazza bianca, ma poco importa il motivo); e per la lettura di un resoconto su Repubblica on line di come vengono trattate le persone nei centri di detenzione; nel ritrovarvi, Gentle Readers 'n Bloggers, ho voluto parlarvi di questo. Anche se è agosto...proprio perché anche agosto, come direbbe Orwell, è un po' più agosto per alcuni di noi; può diventare un incubo per gli altri.



Io, che credo nell'intelletto umano (come potrei altrimenti?), penso che libri come quello del'immagine possano aiutarci a maturare nell'atteggiamento, a fermare il razzismo strisciante che ci insidia tutti; a combatterlo nella vita quotidiana, anche nei piccoli gesti, anche solo nello sguardo che rivolgiamo a qualcuno di "diverso"; uninvited possiamo diventarlo tutti, è questione anche di fortuna e non sempre si può essere al posto giusto, nel momento giusto.

Ben ritrovati Friends.

lunedì 27 luglio 2009

INTERVALLO IN TRE LINGUE



Gentle Readers 'n Bloggers, lascio il blog per alcuni giorni. Et voilà pourquoi :








Can you blame me?



A presto

La vostra, fedele,


Licia Titania

domenica 26 luglio 2009

RISPOSTA DI TITANIA AI CINICI (TITANIA'S REPLY TO THE CYNICAL)

Tempi duri per gli artisti, i sognatori, le persone gentili.

Non temo tanto per mio figlio, già temprato fin dal nido dove devi stare attento che non ti freghino la macchinina e se siedi un attimo da solo, temendo che tu diventi "asociale" e (orrore!) individualista vieni subito "animato" con battimani e giochini più o meno educativi.

Non parlo di me, mi reputo una persona realizzata anche se forse, agli occhi del mondo, non è affatto così.

Penso ad amici, a molte persone a me care. La sensibilità, il voler prendersi del tempo per pensare, il desiderio di approfondire una questione prima di pontificare...l'amore per l'arte e il non voler apparire...perfino un certo disinteresse per il denaro ... quelle che un tempo erano qualità, sono ormai oggetto di derisione e, comunque, ostacoli sicuri alla carriera, se non addirittura all'ingresso nel mondo del lavoro.

A volte sembra che il mondo sia dei cinici.

Di chi era al posto giusto al momento giusto, e non per caso. Di chi ha saputo accettare il compromesso. Di chi fa le cose per piacere agli altri. Di chi è nato vecchio. Di chi è cambiato, perché la vita non gli ha dato quello che (secondo lui) meritava. Degli opportunisti e dei cinici.

Bene, è a loro che voglio dedicare questa stupenda leggenda irlandese (e non scappate! poi la traduco!!):


Some men were born with a heart of clay, and they may live quite well.


But some were born with a heart of fire. These men can find no peace, because they want to fly.



L'ho citato a memoria e un po' adattato ("find no peace" è una mia aggiunta basata sull'osservazione empirica)...e qui ve lo traduco.

Alcuni uomini nascono con il cuore di argilla, e possono vivere anche abbastanza bene.

Ma altri sono nati con un cuore di fuoco, e non trovano pace, perché vogliono volare.

S e qualche cinico legge il mio blog (cosa di cui dubito fortemente lol), si faccia pure avanti.

martedì 21 luglio 2009

PAROLE, ARTE, MANIFESTI ,MURI CHE CADONO


Questa immagine di una prima breccia nel muro di Berlino è stata scattata da FREDERIK RAMM, che nel 1989 aveva solo diciassette anni. Io l'ho trovata pubblicata su questo sito di WOLFGANG PRUSCHA: www.viaggio-in-germania.de/muro-foto html. L'ho scelta perché volevo un'immagine che trasmettesse, in qualche modo, le emozioni provate alla mostra Oltre il Muro (sottotitolo Tutto il Teatro in un manifesto - Polonia 1989/2009) a Palazzo Ducale, a Genova.

Si tratta di manifesti, con i quali gli artisti pubblicizzavano sopprattutto opere teatrali o trasposizioni di opere liriche; nei periodi in cui la censura era più rigida la loro creatività si sbizzarriva, anche a livello grafico, in modo eccezionale, proprio per le costrizioni a cui erano sottoposti. La caduta del Muro infuse nuova energia a queste opere artistiche, esenti (diversamente da quelle europee) dalle imposizioni della pubblicità. Arte libera, insomma.

Gentle Bloggers 'n Readers, vi propongo solo la riproduzione di un manifesto di Walkuski, fra quelli che ho preferito:





ma dovete immaginarvi questi poster enormi, i testi stupendi all'inizio, le didascalie LEGGIBILI, COMPRENSIBILI, non nascoste, non sommerse da faretti...cose non tanto scontate, nelle mostre. Però per riprovare quelle emozioni...credo che dovreste andarci. Non solo per gli splendidi manifesti, ma anche per le foto e le didascalie poetiche di Paolo Rumiz e Monika Bulay, ammirevolmente scelte ed esposte, per i filmati in lingua originale (sottotitoli? solo dove sono indispensabili), per le installazioni (alcune sconvolgenti). Effetto dépaysement assicurato, a meno che non siate di origine polacca.

Voglio lasciarvi con le parole che aprono la mostra. Sono state scritte da Wieslawa Stymborska (ci ho messo di più a scrivere il suo nome che tutto il post lol) e rese mirabilmente in italiano da Pietro Marchesani suo fedele traduttore. Per me dicono già tutto sul valore dell'arte, sulla poesia della lingua e sull'incomunicabilità tra i popoli, ma soprattutto tra le menti:

"La Pologne? La Pologne? Deve esserci un freddo terribile, vero?" mi ha chiesto, e ha tirato un sospiro di sollievo. Infatti sono saltati fuori tanti di quei paesi che la cosa migliore è parlare del clima.
"Oh, Signora" vorrei risponderle, " i poeti del mio paese scrivono in guanti. Non dico che non se li tolgano mai - quando la luna scalda, allora sì.
In strofe composte di grida tonanti, perché solo questo penetra attraverso il mugghio della tempesta - cantano l'esistenza semplice dei pastori di foche. I classici incidono con ghiaccioli d'inchiostro su cumuli di neve calpestati. (...) Chi si vuole annegare deve avere una scure per fare un buco nel ghiaccio. Oh, Signora, mia cara Signora!"
E' così che vorrei risponderle, .
Ma ho dimenticato come si dice foca in francese.
Non sono sicuro del ghiacciolo e del buco nel ghiaccio.
"La Pologne? La Pologne? Deve esserci un freddo terribile, vero?"
"Pas du tout" rispondo glacialmente.

BUONI, CATTIVI E INDIFENDIBILI

Il teatro della Tosse, a Genova, ha organizzato un divertente spettacolo sui "cattivi a teatro". Ci sono Medea (Margherita Romeo - quella che mi è piaciuta di più), Jack lo Squartatore, la strega di Hansel e Gretel (anche quest'attrice bravissima, si chiama Rita Falcone) e Lady Macbeth - impersonata da Sara Nomellini, molto affascinante, ma troppo sensuale per la parte secondo me. Più Salomé, insomma, che non Lady Macbeth, che ho sempre immaginato fredda, divorata solo dall'ambizione e non da passioni fisiche. La nostra "guida" tra un monologo e l'altro di questi cattivi, tesi a convincerci che "cattivo è bello", era Lombroso, il quale si affannava per trovare degli esempi di aspetto da "reo nato" (molto divertente la "barba bifida"). Uno spettacolo ironico, ma con dei momenti tragici molto belli.

Negli stessi giorni, per una casualità, ho visto anche
Tutta colpa di Giuda, dove un gruppo di carcerati dovrebbe rappresentare la passione di Cristo ma nessuno vuole impersonare Giuda. Solo che, si sa, senza di lui anche la storia di Gesù non ha senso...Per inciso in questo film c'é anche un cameo (una m? due? tre?) insomma un'apparizione di Luciana Litizzetto, nel ruolo di una suora (né buona né cattiva, se ve lo stavate chiedendo).

Poi c'è
Harry Potter...non crediate che me lo sia perso. Né l'ultimo film, né tutti i volumoni da me letti e custoditi con cura. Avete notato che i cattivi più importanti inventati da J.K. Rowling hanno nomi francesi? a partire da Voldemort: vol de mort. Per non parlare degli odiosi Malfoy: mal foie scritto nel modo antico, come dire "cattiva fede". Un piccolo scherzo da ex insegnante, probabilmente non tanto francofila, come molti inglesi.

Sono i cattivi nella finzione.

Quanto ai cattivi veri...Da ragazza pensavo che non esistessero. Credevo nella relatività: sì, il tale ha compiuto un crimine, ma al suo posto anche tu avresti reagito così...e ha delle attenuanti, da piccolo era molto povero e lo maltrattavano...ecc.
Ora penso che i cattivi esistano. E che chi fa del male ai più deboli - ad esempio ai bambini - non si possa p
erdonare, mai.

giovedì 16 luglio 2009

GLI INTRADUCIBILI - ?: EAT YOUR HEART OUT, FERNANDA! (PIVANO)





Questo un po' è traducibile: eat your heart out significa, letteralmente, "mangiati il cuore" (fino a non averne più: out), sottinteso per l'invidia (oppure, in senso figurato, "mangia fino a non poterne più": ma questo significato mi interessa meno). Roditi il fegato, potremmo tradurlo con buona approssimazione. Ma l'espressione italiana fa pensare ad una rabbia anche legittima, a preoccupazioni serie di chi si trova in una posizione di debolezza: "Si rode il fegato per le difficoltà economiche/per il lavoro del figlio" ecc., o anche per l'invidia. "Rodendosi il fegato" si possono davvero avere problemi di salute, mentre è improbabile che uno, per quanto invidioso, si divori il cuore da solo (almeno...credo).

Eat your heart out entra a far parte degli "intraducibili" nel suo uso più scherzoso, seguito cioè dal nome di qualcuno per indicare che si è fatta e/o ottenuta una cosa molto meglio di quanto avrebbe fatto l'altra persona, che pure eccelle in quel campo. E' molto usato, ironicamente, nel mondo dello spettacolo: così la mitica Goldie Hawn dopo uno dei suoi balletti: "eat your heart out, Liza Minnelli !" o dopo aver cantato "Bye-bye baby": Eat your heart out, Marilyn! Avrete capito che quando la si usa, di solito, il confronto è impari e a chi lancia la sfida verbale dell' eat your heart out non resta, in realtà, che l'ironia - che non è poco, comunque.
)
Aggiungo una postilla oggi, 20 agosto 2009; non perché Fernanda Pivano è morta ieri, ma perché la sua morte mi ha dato occasione di parlarne con una Gentle Reader, la quale mi segnala che questo "intraducibile" non è affatto chiaro. Dunque: "eat your heart out" si usa per confrontarsi, in modo scherzoso, con una sorta di mito, quando il confronto in realtà è impari. Io qui, nelle vesti di traduttrice, mi rivolgevo dunque a lei. Infatti Fernanda Pivano, per me, è (e lascio volutamente il tempo presente) un mito della traduzione; al di là del fatto che la sua "versione" di Hemingway sia stata (mi dicono) superata da altre più attuali, più efficaci, più fighe (scusate volevo dire più cool), lei per me resta il prototipo del traduttore, anche per il suo desiderio di entrare in quel mondo che traduceva, vivendolo in prima persona prima ancora di interpretarlo.
Per dare un altro esempio, un/una blogger con una decina di lettori (tra cui magari sua mamma e suo fratello, non il/la compagno/a che si rifiuta), potrebbe dire: Eat your heart out, Beppe Grillo.

mercoledì 15 luglio 2009

SCOTTISH HUMOUR

Non temete Gentle Bloggers 'n Readers, non sto per infliggervi uno sproloquio sulle differenze tra umorismo britannico e latino; soltanto una filastrocca un tempo amata dai bambini scozzesi, di Edinburgo in particolare:


Oh ye cannae shove yer grannie aff the bus,
Oh ye cannae shove yer grannie aff the bus,
Ye cannae shove yer grannie
For she's yer mammie's mammie,
Ye cannae shove yer grannie aff the bus.


...che in inglese sarebbe:

Oh you cannot shove your granny off the bus,
Oh you cannot shove your granny off the bus,
You cannot shove your granny
For she's your mummy's mummy,
You cannot shove your granny off the bus.


Si tratta, dunque, del fatto che non è bene spingere la nonna giù dall'autobus, perché la nonna è (pur sempre) la mamma della propria mamma...e di questo umorismo un po' surreale e cruento è pieno, vi assicuro, il folklore del Regno Unito. Ovviamente, nella versione originale, il ritmo conta quanto le parole; ma anche queste hanno la loro importanza.

Io lo trovo, nella sua assurdità, molto divertente.
Attendo curiosa le vostre reazioni e commenti...


martedì 14 luglio 2009

14 juillet 1789 - Liberté chérie




Rispetto la scelta di quei blogger che hanno deciso, oggi, di tacere in segno di protesta contro quella parte del DDL Alfano che sembra minacciare la libertà di pubblicare liberamente su Internet.

Chi mi legge e chi mi conosce bene non può pensare che non condivida, con tutta me stessa, questa protesta.

E' solo che oggi non riesco a stare zitta. E' proprio oggi la ricorrenza che Licia Titania ha scelto come data del suo compleanno (per questo nel mio profilo risulto avere 219 anni, cosa che non avevo previsto ma in fondo non mi dispiace lol).

Fino a poco tempo fa tenevo incollata sulla porta di casa, verso l'interno, una stampa che trovai ad un museo sulla Rivoluzione Francese (anni prima che fosse girato l'omonimo film di Roy Lekus e Francoise Jolivet): era l'immagine di un giacobino con la scritta: TREMBLEZ TYRANS.
Un giorno mio figlio, ancora piccolo, osservò: "Ma è inutile tenere questa scritta dentro casa, appendila fuori dalla porta!" cosa che apprezzai sia per le potenziali capacità logiche del ragazzino, sia per le implicazioni: NON ci considerava dunque dei tiranni (si parla di qualche tempo fa).
.
Detto, fatto: incollai la stampa sulla porta di casa, verso l'esterno.

Ebbene, Gentle Readers and Bloggers: dopo pochi giorni mi fu rubata.

Non così la mia, la nostra libertà di pensiero, di parola, di scrittura. Di risata.

E ricordiamoci tutti che la Rivoluzione Francese, senza i pensatori e gli intellettuali che l'hanno preceduta, non ci sarebbe stata. Perciò un applauso e il mio ringraziamento a tutti quei blogger, socialmente impegnati, che sono pronti a segnalarci le ingiustizie e le contraddizioni del potere.
Qui in Rete, per fortuna, non tagliamo teste; ma possiamo sollevare l'indignazione e diffonderla; o coprire di ridicolo chi si crede al di sopra del giudizio comune..
Mi piace allora, proprio oggi non tacere, ripeterlo invece qui, ad alta voce appunto:


TREMBLEZ TYRANS.


lunedì 13 luglio 2009

DUE MARI

In questi giorni di attività frenetica, di figlio in piena crisi pre-adolescenziale (ma quanto presto iniziano?? beh sì io ero uguale, non che questo aiuti...), di complicatissima organizzazione delle vacanze per tutti, di cure feline extra, di...

Due mari mi chiamavano, e non riuscivo ad andarci.
Per mancanza di tempo; per spossatezza; per scoramento. Per pigrizia!

Il Mar Mediterraneo. Le onde lunghe, il sole a picco, la sabbia, i bambini. Il rumore dela risacca verso sera, quando dai bagni pubblici ti buttano fuori.
Il mare della Rete. I blog, le parole e le immagini, le cose da scoprire, le cose da dire, quel pensiero da condividere, quell'emozione comunicata o un po' celata.

Mi mancavano entrambi, devo dire - anche se sono stati solo pochi giorni.
Ma ora sono in vacanza.
Al mare ci sono già stata, fino a scottarmi; ma non mi pento. Ho già fatto fuori tre romanzi, dieci caffè shakerati, tre cuffie da piscina (perse dal figlio); almeno 24 ore complessive senza pensare a niente, vivendo e basta.

Ed ora sono qui; felice di essere tornata.


Ben ritrovati, Gentle Readers.

domenica 28 giugno 2009

I LOVE RADIO ROCK





Mi fa piacere che questo film, proiettato a Genova in un cinema fuori dai grandi circuiti, abbia avuto successo; in rete ne hanno già parlato alcuni bloggers più sensibili.

Forse l'unica cosa che non mi è piaciuta è stata la versione italiana del titolo, di una banalià tale che ha spinto alcuni commentatori a trovare melenso tutto il film (e non lo è, secondo me). Certo The Boat that Rocked, cioè la barca che rollò, che rischiò il naufragio - ma è evidente anche il riferimento al rock 'n roll - non era facile da tradurre: ma perché non lasciare il titolo originale, come si è fatto in altri casi - ad sempio Lost in Translation, The Unbreakable, ecc.? chi va a vedere quel genere di film secondo me conosce, o almeno ama, abbastanza l'inglese da non meritarsi la semplificazione di un titolo così scontato.

A me è piaciuto per la musica, certo; per l'ironia; per ricordare quei tempi, le "radio libere"; per il tema della libertà. Ho apprezzato, in particolare, l'umorismo di alcune scene: il sussulto della moglie "perfettina" quando a casa del ministro viene tirato il cracker, che emette un suono lievissimo, e il contrasto con la festa sgangherata a bordo della nave; ma soprattutto la scena del naufragio in cui Carl deve convincere il vecchio disc-jockey, che ha scoperto essere suo padre, ad abbandonare la cabina rinunciando alla cassa dei dischi per lui preziosi. E' una scena muta, che in modo surreale, si svolge sott'acqua; vediamo quindi solo i gesti imperiosi del ragazzo ormai cresciuto, che indicando al padre sciroccato la cassa da abbandonare, lo costringe a reagire e a ricollegarsi con la realtà. Spiritoso, ma anche profondo e commovente: Carl, che non aveva mai conosciuto suo padre, quando scopre che si tratta dell'artistoide drogato che la mattina lascia la tavola (tranquillissima) della colazione dichiarando "E' frenetico qui" lo accetta immediatamente; lo ama com'è. Sì, insomma; come diceva una mia amica, è cine. Bellissimo cine, però.