domenica 20 novembre 2011

QUEL CHE RESTA

Di tutti i motivi che mi hanno portata a trascurare il blog, il più serio è la mia partecipazione ad un seminario sulla shoah, che si è tenuto a Parigi presso il Mémorial de la Shoah.

Si è parlato di tante cose; gli studiosi della Shoah (che in ebraico significa "catastrofe") o olocausto, almeno in Francia, insistono sulla necessità del rigore storico e di evitare ogni sentimentalismo e banalizzazione dell'argomento.

Ma quello che vorrei condividere con voi è l'intervento più toccante: quello di
HENRI BORLANT, sopravvissuto al Campo di Auschwitz e autore dell'autobiografia Merci d'avoir survécur. Questa frase, che vuol dire "Grazie di essere sopravvissuto", gli fu scritta da un alunno di una delle scuole che visitò per testimoniare la sua esperienza. Trovo che nella sua semplicità dica tutto.

Henri Borlant aveva quindici anni quando era ad Auschwitz. Dei suoi accenni a quell'esperienza mi ha colpita la fame che lo perseguitava - un ragazzo di quell'età, costretto a mangiare pochissimo, non fa che sognare il cibo, e questa privazione non fa neppure notare le altre. Però...quando gli è stato chiesto come avesse fatto a dimenticare, a non suicidarsi dopo, a sopravvivere appunto, lui si è, in qualche modo, contraddetto, dicendo che aveva resistito grazie a due cose: il fatto di aver ritrovato, una volta fuggito, sua madre ancora viva; e la preghiera che lo confortava (preghiera anche proprio per la madre stessa) mentre era ancora prigioniero.

Per il resto quest'uomo ancora bello, elegante e ironico, preferisce parlare del "dopo" piuttosto che di quell'esperienza (ce n'est pas un sujet de conversation de salon, cioè non è argomento salottiero, dice con ironia). Lui vuole parlare di quel che resta di bello: della moglie tedesca ("L'ho sposata perché era carina, mica perché era tedesca!"), dei figli, del suo lavoro di medico, del libro appena scritto.

Oltre ad essere sopravvissuto fisicamente, ha manternuto lo spirito di quel ragazzo.

Di questo, con umiltà e senza l'aborrito sentimentalismo, anch'io vorrei ringraziarlo.

giovedì 18 agosto 2011

QUESTO NON E' INTRADUCIBILE...



...Ma lo trovo irresistibile; me lo ha insegnato un giovanissimo amico. Dovrebbe essere la traduzione spagnola di "Eat my shirt" o "Eat my shorts", in italiano "Ciucciami il Calzino", leitmotiv dei cartoni dei Simpson.

In spagnolo si dice: Multiplìcate por zero! cioè "annullati", sparisci da quanto ti ho umiliato, o come direbbero i ragazzi oggi, "Ti ho spento".

Non commento sulla raffinatezza e l'intellettualismo di questa traduzione spagnola, rispetto alla nostra italiana, che risulta secondo me oltre che vagamente volgare, anche incomprensibile...

Buon caldo a tutti lol.

venerdì 22 luglio 2011

THE CAT, THE RAT AND THE DOG...







“The Catte, the Ratte and (Lovell our) dogge rulyth all Englande under a hogge.”



Traduzione "il gatto, il ratto e (Lovell) il (nostro) cane regnano su tutta l'Inghilterra, sotto (il governo) di un cinghiale" (con riferimento al simbolo araldico del re).

Fu scritto da un anonimo nel luglio 1484, con riferimento ai governanti dell'Inghilterra sotto Riccardo III.


Ogni tanto questi vecchi detti vengono ancora bene lol.

giovedì 21 luglio 2011

IL VIOLINISTA E IL CALCIATORE

Martedì sera: Concerto in omaggio a Paganini nell'incantevole basilica di Santa Maria delle Vigne, nel Centro Storico di Genova. Suona il virtuoso Alexandre Dubach accompagnato dall'orchestra di Berna-Belp. La musica è bellissima, irresistibile per le mie orecchie profane; un'amica violinista mi dice che Paganini componeva musica "facile"...sarà proprio per questo che la trovo così accattivante. Ma vorrei dire dell'interprete Dubach e del direttore d'orchestra: secondo me si vede subito che non sono latini. Perché sono completamente un-selfconscious nel mostrarsi al pubblico, nel palesare il loro entusiasmo per la musica che ci propongono, nel gioire del successo (anche loro) e degli applausi. E perché sono completamente "nel momento".


Come gli adolescenti che conosco io quando giocano a calcio: ci sono delle foto dove vedi la loro espressione, non sempre in questo caso gioiosa, ma comunque concentrata. Non più atteggiarsi, non più smorfie di cinico disprezzo per il mondo visto da un tredicenne; non più pensieri che corrono ai capelli col gel o a...(magari si sapesse cosa li tormenta a volte); loro, davanti a quel pallone, sono proprio nel momento.


Come il gatto quando gioca. E come il violinista svizzero.

domenica 22 maggio 2011

NON LASCIARMI (MAI)

Ho amato molto questo film. Il tema, sulla carta, è morboso: cloni di esseri umani, allevati esclusivamente per utilizzarne gli organi.La storia è delicata, struggente. Due "cloni" si innamorano e si convincono che questo amore darà loro il diritto di vivere più a lungo...

Alcuni momenti particolarmente tristi, bellissimi:l'entusiasmo con cui i i ragazzini della scuola (in cui i cloni vengono cresciuti con l'illusione di essere dei privilegiati) aspettano il "baratto", dove lo spettatore costernato vede poi che, in cambio di pochi soldi, riceveranno bambole rotte..vecchie cassette musicali...i rimasugli della vita altrui - giocattoli preziosi, per loro che non hanno nulla di proprio, neppure appunto la loro vita.

La scena in cui Kathy, l'unica consapevole, rimprovera gli altri perché imitano il linguaggio televisivo anche nei rapporti tra di loro , fin nelle frasi che usano (it's so untrue ripete sussiegosa una ragazza, che ha sentito quest'espressione in una sit-com). Agghiacciante e vero.

Ci sono molti altri momenti commoventi, dove i sentimenti umani - amore, gelosia, dispetto...sono come amplificati dalla precarietà della vita di questi "esseri".

Un bel film, tratto da una storia, non per niente, di Kazuo Ishiguro (l'autore di The Remains of the Day, cioè Quel che resta del giorno).

Per me, una storia indimenticabile.

Qualcuno ha criticato la traduzione del titolo, da Never Let me go a Non lasciarmi; io non sono d'accordo. In inglese "let me go" è meno enfatico di "leave me", per cui serve quel "never" per dare più forza all'implorazione; "non lasciarmi", in italiano, secondo me è perfetto.




domenica 15 maggio 2011

GLI INTRADUCIBILI (?) : HOMBRE SIN HOMBRIA

Udii l'espressione per la prima volta da una signora argentina, indignata per il fatto che il pilota italiano si rifiutava di atterrare all'aeroporto di Genova, per via del vento.

Nella fattispecie, ovviamente, era doverosa la prudenza del povero pilota; eppure mi colpì l'epiteto in spagnolo, sintetico, perfetto, pungente senza essere volgare.

Potremmo tradurlo "uomo senza (sin) virilità", laddove la virilità va intesa però nel senso ampio, latino, di audacia e coraggio che si ritenevano (solo un tempo?) prerogativa maschile.

Le traduzioni che mi vengono in mente sono più o meno volgari; inoltre vi si perde quello stupendo hombrìa, l'essere uomo, al di là di ogni dubbio, al di là del politicamente corretto (che non era in cima alla lista di priorità della mia amica argentina).

Non essendo io, però, esperta di spagnolo, aspetto vostri suggerimenti per tradurre l'espressione, my Gentle Readers.

Dimenticavo: ovviamente, tra le mie frequentazioni, virtuali o effettive che siano, non c'è alcun hombre (nè alcuna mujer) sin hombrìa.

sabato 14 maggio 2011

"Dicaah..." - Vorrei comprare un libro... "Un libro, dice??" (




E' uscito il nuovo libro del Rockpoeta, si intitola Pallottoliere Bianco. Si può acquistare online qui , ma a me e ad altri amici genovesi faceva piacere comprarlo in libreria. Così sono andata a cercarlo da Feltrinelli. Ma l'editore (Neuma) è troppo "piccolo" per i loro gusti; abbiamo dovuto insistere parecchio perché prenotassero il libro e lo facessero arrivare.

Fin dall'inaugurazione della nuova Feltrinelli ho avuto molti dubbi. Non ci avevo fatto ancora un post perché è frequentata da amici, e sul mio blog non vorrei ferire le persone che conosco. Ora però,ve lo devo proprio dire. Ma che libreria è che non ordina un libro perché l'editore non è famoso? tra un po' ci diranno: "No, guardi, il libro pesa solo trenta grammi, non abbastanza per noi".

Quei libri accatastati...quelle persone in posa plastica, apparentemente intente a leggere, sempre "in tiro" e ben pettinate...quando noi veri lettori sappiamo che la letttura richiede concentrazione e, anche, un certo abbandono...come diceva una mia, arguta, collega: "I libri messi lì così mi fanno venire in mente la roba da stirare". Cioè mettono ansia, anziché voglia di leggere. E se chiedi un libro i commessi, pur (di solito) gentili, si comportano come se fossero al supermercato: vada al reparto tale, oppure: lo ordini da Internet, mi ha detto uno (ma come?? e la libreria a che serve?).

Come dice l'mpiegata dei Soliti Idioti (mitico programma di MTV): "Va beh". Da BOZZI, antica e prestigiosa libreria genovese, sono più gentili; però fanno anche pagare di più, per via delle spese di spedizione.

Il libro, comunque, è molto bello.

Come saluto a chi ha fatto storie per ordinarlo cito soltanto questo, dalla poesia Blog Resistenza:

Voi
Noiosi e stereotipati benpensanti
Finti ricchi dal cervello
Devitalizzato.

E permettetemi di dirlo: finti intellettuali.

Ciao Gentle Readers, scusatemi per questo ritorno un po' polemico.