sabato 18 aprile 2009

GIACOMO LEOPARDI E L'ELOGIO DEGLI UCCELLI

...(Gli uccelli) per ogni diletto e ogni contentezza che hanno, cantano; e quanto è maggiore il diletto o la contentezza, tanto più lena e più studio pongono nel cantare. (... ) Imperocché si vede palesemente che al dì sereno e placido, cantano più che all'oscuro e inquieto: e nella tempesta si tacciono, come anche fanno in ciascuno altro timore che provano; e passata quella, tornano fuori cantando e giocolando gli uni cogli altri.
(...) Onde si potrebbe dire in qualche modo, che gli uccelli partecipano del privilegio che ha l'uomo di ridere: il quale non hanno gli altri animali. (...)
In fine, siccome Anacreonte desiderava potersi trasformare in ispecchio per esser mirato continuamente da quella che egli amava, o in gonnellino per coprirla, o in unguento per ungerla, o in acqua per lavarla, o in fascia, che ella se lo stringesse al seno, o in perla da portare al collo, o in calzare, che almeno ella lo premesse col piede; similmente io vorrei, per un poco di tempo, essere convertito in uccello, per provare quella contentezza e letizia della loro vita.

Ho sempre amato Leopardi; quello vero, tenero ironico e perfino sensuale oltre che, come banalmente si tramanda, "pessimista". Amo, poi, moltissimo la "prosa lirica", cioè quella forma di prosa che, per ritmo, musicalità e contenuti, diventa un altro modo di fare poesia. I poeti sanno esprimere ciò che proviamo, anche quando non sapevamo di provarlo; i poeti ci scuotono e ci trasportano, nel nostro mondo e poi nel loro (a volte il nostro è anche il loro). Li invidiamo, a volte li temiamo; non potremmo fare a meno di loro.

2 commenti:

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